Un giovane campione mai dimenticato dai tifosi della Roma, volato via troppo presto in circostanze oscure, tra malanni, litigi e negligenze. Alla fine degli anni ’60 Giuliano Taccola è l’uomo nuovo dell’attacco giallorosso, arrivato nella Capitale nell’estate del 1967, non sbaglia un colpo. Segna con puntualità sempre maggiore (7 gol in 12 partite nella seconda stagione romanista dopo i 10 nelle 29 della prima) e il tecnico romanista Helenio Herrera non può più fare a meno di lui. Forse per questo motivo il “Mago” insiste per averlo in campo il prima possibile nonostante i problemi di salute. E anche lo stesso Taccola, per la verità, non ha voglia di fermarsi e asseconda la volontà del suo allenatore. È così che si arriva al 16 marzo 1969 quando, a Cagliari, il cannoniere della squadra giallorossa muore ad appena 25 anni.
Giuliano Taccola nasce a Uliveto Terme (Pisa) il 28 giugno 1943, figlio di un venditore ambulante, e inizia a dar calci a un palla quando è ancora un bambino. È veloce, abile, fa tanti gol nella squadra della sua cittadina natale. Lo nota il Genoa che lo arruola nelle giovanili per poi inviarlo in prestito a fare esperienza: cresce con Alessandria (22 presenze e 2 reti in Serie B nel 1962-63. Esordio nella serie cadetta, con gol, il 4 novembre 1962 in Alessandria-Messina 1-2), Varese (2 presenze in Serie B nel 1963-64), Entella (27 presenze e 7 reti in Serie C nel 1964-65), ma soprattutto Savona (32 presenze e 13 reti nel 1965-66), dove esplode definitivamente. Il Genoa lo riporta all’ovile, in Serie B, Taccola si conferma (32 presenze e 4 reti nel 1966-67) e la Roma lo ingaggia pagando 90 milioni. È l’estate del 1967.
L’attaccante toscano venuto dalla Liguria fa subito colpo sui tifosi giallorossi. È velocissimo (è alto 1,79 e pesa 76 chili), tenta sempre il tiro in porta e segna il primo gol all’esordio in Serie A, dopo 9 minuti, il 24 settembre 1967, a San Siro contro la temibile Inter di Helenio Herrera che era passata in vantaggio grazie a Facchetti due minuti prima. La Roma, con Oronzo Pugliese in panchina, ha una partenza a razzo e rimane in testa alla classifica fino alla 9ª giornata, poi però crolla, scendendo al decimo posto di fine campionato. Taccola invece non si ferma: segna un magnifico gol che vale la vittoria contro la Spal, poi un altro all’Atalanta (1-1), una doppietta al Brescia (2-0) e così via. A fine stagione ha raccolto un bottino di 10 reti in campionato, un gol in Coppa Europa Centrale e 4 in Coppa delle Alpi.
«Era un attaccante forte, sembrava dovesse arrivare in nazionale – ricorda Stefano Maiocchetti, presidente del Roma Club “12° Giallorosso”, nel libro “Roma Story” – era un centravanti che andava dentro, sgomitava, giocava bene di testa. Forse tecnicamente non era molto dotato, ma prendeva un sacco di calci e non si lamentava, era forte fisicamente». Grazie a tante partite giocate da mezzala, Taccola è diventato un attaccante completo, non attendista: partecipa all’azione, segna di destro, di sinistro, di testa, in acrobazia e ha un dribbling fulminante.
La seconda stagione nella Capitale inizia ancora meglio della prima: Herrera, che nel frattempo ha sostituito Pugliese sulla panchina giallorossa, dà piena fiducia al centravanti toscano che risponde segnando 7 reti nelle prime 12 giornate. Soltanto Gigi Riva del Cagliari, con 12 gol, fa meglio di lui. Il 22 dicembre 1968 Taccola, in Varese-Roma 2-1, mette la firma sull’ultimo gol della sua vita.
Poi, durante la pausa natalizia, il 25enne attaccante romanista è colpito da ripetuti attacchi febbrili a giorni alterni, non riesce ad allenarsi e non può più giocare. Herrera si spazientisce perché lo vuole a disposizione mentre i medici tentano di dare una diagnosi e lo curano con gli antibiotici. «Herrera spingeva affinché il ragazzo tornasse a giocare – la testimonianza dell’allora presidente della Roma, Alvaro Marchini – se la prendeva con i medici che, secondo lui, lo curavano male».
Il professor Massimo Visalli comunica che Taccola è affetto da un vizio cardiaco, forse congenito, aggravato da continue tonsilliti. Herrera si infuria: «I dottori non capiscono niente! Taccola è un atleta. Loro non sanno nulla del cuore di un atleta».
Il 25 gennaio 1969 è ricoverato in clinica per un grave infezione alle tonsille e il 5 febbraio viene operato di tonsillectomia. Nonostante l’intervento l’influenza non passa, ma Herrera ha bisogno di lui. L’attaccante toscano torna ad allenarsi il 24 febbraio e, due giorni dopo, è in campo in Roma-Palermo 4-1 valida per il Torneo De Martino, il campionato riserve. «Taccola (che ha giocato solo un tempo) è apparso fiacco e può darsi dunque che il rientro sia rinviato», si legge sul quotidiano “L’Unità”.
Il 2 marzo 1969 Giuliano Taccola torna nuovamente in campo, per un’ora, contro la Sampdoria in campionato (match finito 0-0), ma la sera ha di nuovo la febbre e riprende a curarsi con gli antibiotici. Due settimane dopo, in vista della difficile trasferta di Cagliari, Herrera convoca il calciatore, che sta un po’ meglio, con la promessa ai medici di non farlo giocare.
Sabato 15 marzo l’attaccante romanista partecipa all’allenamento di rifinitura, poi rientra in albergo e si sente male in camera. Ha ancora la febbre, ma vuole restare vicino ai compagni e il giorno successivo assiste in tribuna al buon pareggio senza reti della Roma contro i sardi, secondi in classifica. A fine match entra negli spogliatoi per complimentarsi con la squadra, è rosso in volto per la febbre, si sente male, ha un giramento di testa e Santarini gli cede il suo lettino. La situazione precipita: il difensore giallorosso Paolo Sirena urla alla ricerca di aiuto, «Giuliano sta male, Giuliano sta male», mentre il portiere Alberto Ginulfi tenta un’improvvisata respirazione bocca e bocca.
Di lì a poco Taccola muore per arresto cardiaco nonostante il tentativo di soccorso dei medici e il trasporto in ospedale. Il decesso viene certificato alle 17.55 di quel tragico 16 marzo 1969.
«Giuliano era il mio migliore amico, dividevamo sempre la stanza, in ritiro – racconta Ciccio Cordova a “Il Romanista” del 16 ottobre 2005 – fu così anche quella volta a Cagliari: era debilitato da tempo, dall’operazione alle tonsille. Il cuore? No, se ne era parlato, ma si era sottoposto a moltissimi esami e per quello era idoneo. Invece da ormai due mesi accusava stati febbrili ogni due o tre giorni, che venivano curati con antibiotici. La società aveva pensato di dargli un periodo di riposo, da trascorrere al Terminillo, ma Herrera, anche grazie ad una stampa compiacente, poiché lui era il “Mago”, era troppo preso dalla fame di successi per rinunciare ad un giocatore come lui […]. Herrera lo fece allenare la mattina stessa sul lungomare di Cagliari e al termine si vedeva chiaramente che Taccola non poteva assolutamente giocare: per questo andò in tribuna. Ma non è vero che Giuliano morì a Cagliari: per me era stato il comportamento di Herrera a minarlo nel fisico. E l’allenatore, subito dopo la tragedia, disse che “la vita continuava” e che “dovevamo tornare a Roma, in ritiro ad Ostia” perché c’erano altre partite nel corso della settimana. All’aeroporto di Cagliari ricordo che io, D’Amato e gli altri, a quelle parole, stavamo per mettergli le mani addosso».
Effettivamente Herrera, senza grande tatto, fa ripartire la squadra da Cagliari perché tre giorni dopo c’è da giocare contro il Brescia in Coppa Italia. Soltanto Cordova, Sirena e D’Amato si oppongono e restano, con il direttore sportivo Vincenzo Biancone, accanto alla salma del compagno. Ai funerali ci sono 50mila persone, dentro e fuori la Basilica di San Paolo.
«Quel ragazzo è stato un po’ massacrato – racconta Giacomo Losi nel libro “Roma Story” – Herrera e i medici insistettero nel farlo lavorare, serviva una punta, ma puntualmente, dopo ogni allenamento, stava male. Quando morì ero a Roma, ma fui tra i primi a saperlo perché l’Ansa voleva pubblicare la notizia e mi chiesero telefonicamente di avvertire la moglie per poter pubblicare la notizia. Un ragazzo morto in questa maniera fu un trauma. Ai funerali c’erano migliaia di persone. Poi fummo io e il direttore sportivo Biancone ad accompagnare il feretro al suo paese, Uliveto Terme».
Su quella morte non è stata mai fatta chiarezza, nonostante le inchieste penali e la battaglia che la moglie Marzia Nannipieri ha portato avanti per decenni, ricevendo anche un aiuto da parte della Roma. «Né io né i miei figli sappiamo ancora cosa ha portato alla morte così assurda e prematura di Giuliano – le parole della vedova il 15 marzo 2008 – da quel giorno è stata chiusa qualsiasi strada per un lavoro nelle istituzioni sportive, pubbliche e private all’unico genitore rimasto, affinché i miei figli avessero un futuro dignitoso. Giuliano è deceduto sotto contratto e sul luogo di lavoro. È veramente sconcertante che in un paese civile e democratico come l’Italia nessuno si sia mai chiesto il perché di tutto ciò e nessuno sia mai intervenuto».
«Sono riuscita a fare una perizia sulle carte della morte di Giuliano dopo 25 anni – racconta successivamente la vedova Taccola al quotidiano “Il Tirreno” del 16 aprile 2012 – il risultato è che il suo cuore scoppiò letteralmente. Era stato operato per una tonsillectomia. Ma, nonostante la febbre continua, veniva fatto giocare lo stesso. In due anni non gli sono stati fatti esami. In un allenamento a Cagliari, prima del giorno della sua morte, svenne sotto la doccia e fu risparmiato per quella partita. Alla fine della gara aveva di nuovo la febbre e gli è stata fatta un’iniezione. Poi il malore e i soccorsi che vennero attivati un’ora dopo. Aveva una broncopolmonite da 15 giorni che nessuno ha mai curato. Voglio la verità su quanto accaduto su mio marito e voglio giustizia».
L’inchiesta penale sulla morte del calciatore si concluse senza colpevoli, come ci ha raccontato nel 2016 l’onorevole Roberto Morassut, autore di una dettagliata biografia del giovane talento romanista, intitolata “Giuliano Taccola, la punta spezzata”: «L’inchiesta della procura di Cagliari per omicidio colposo nei confronti di Herrera e del medico sociale della Roma si chiuse con un’archiviazione. Credo, alla luce degli atti, che non ci fosse possibilità di un esito diverso. Si può però dire che, nei passaggi di carte sulla certificazione medica, ci furono enormi trascuratezze. Nel 1966, quando Taccola militava nel Genoa, c’erano certificati che testimoniano come già allora la patologia cardiaca del calciatore fosse complessa. Poi nel febbraio 1969 fu operato alle tonsille per una grave infezione e sarebbe dovuto restare lontano dai campi di calcio per un mese e fare una serie di analisi: invece tornò ad allenarsi dopo due settimane e giocò sotto la pioggia. Il suo rientro fu anticipato in modo sbagliato senza fare alcune delle analisi che erano state prescritte. Nello staff medico della Roma c’era un gran caos organizzativo. Taccola poteva essere salvato, ma in questa situazione è difficile identificare un responsabile della sua morte».
Ma davvero non si sarebbe potuto far nulla? «Se il certificato medico e l’ecocardiogramma fatti a Coverciano nel dicembre 1966, quando Taccola era al Genoa, fossero stati letti con scrupolo e trasmessi alla Roma, forse qualche dottore avrebbe potuto chiedersi se il calciatore aveva qualche problema – le parole di Morassut nel 2016 – in quel certificato medico si spiegava che “i tempi di recupero del giocatore erano faticosi”, che “non doveva subire carichi di lavoro eccessivi”, che “sotto sforzo il cuore manifestava dei problemi” e si chiedeva che dopo due mesi venissero fatti nuovi esami a Coverciano, che non però vennero mai svolti. Quando la polizia giudiziaria andò dal Genoa a cercare le cartelle cliniche del giocatore, dissero che era andato tutto al macero».
Negli anni ’70 il Roma Club di Primavalle prende il nome di Giuliano Taccola mentre un anche un celebre torneo dilettantistico viene intitolato allo sfortunato attaccante, così come una società calcistica. Il Premio “Giuliano Taccola”, istituito a Pisa poco dopo la tragedia del 1969, viene però soppresso dopo 17 edizioni, nel giugno del 1985, per volontà della moglie Marzia e dei figli Giuliana e Gianluca.
Qualche decennio più tardi, nel 2011, il Comune di Roma intitola al calciatore scomparso una via nella zona di Castel di Decima. L’indimenticato talento giallorosso viene poi inserito tra i candidati dell’Hall of Fame romanista nel 2012 e nel 2014. Nel 2018, finalmente, è definitivamente promosso nella Hall of Fame per volontà del club giallorosso senza passare attraverso il voto popolare.
La Curva Sud, inoltre, lo ricorda tra i sedici campioni che fanno parte della coreografia esposta al derby dell’11 gennaio 2015, accompagnata dallo striscione: «Figli di Roma, capitani, bandiere: questo è un vanto che non potrai mai avere». Taccola viene celebrato allo Stadio Olimpico anche due mesi più tardi, il 16 marzo 2015, durante Roma-Sampdoria 0-2, in occasione dell’anniversario della sua scomparsa: la Curva Sud espone nuovamente lo stendardo con il suo volto già visto contro la Lazio mentre i tifosi della Nord gli dedicano lo striscione «16-3-1969… in ricordo di Giuliano Taccola!».
Poi, il 16 marzo 2019, mezzo secolo dopo la morte di Taccola, la Roma va a giocare sul campo della Spal con una maglia speciale dedicata al campione scomparso prematuramente: sulla manica di ogni calciatore giallorosso c’è scritto Giuliano accanto al logo della Hall of Fame giallorossa.
Giuliano è volato via da cinquant’anni, ma il suo ricordo non muore mai.