Martedì 15 novembre 1927. Il quotidiano “L’Impero” coglie un diffuso malumore tra i tifosi giallorossi per i prezzi troppo alti dei biglietti delle partite interne della Roma. La squadra di Garbutt ha disputato appena tre gare di campionato in casa, contro Livorno, Verona e Juventus, ma le lamentele sono numerose.
«Decisamente i dirigenti della S.S. Roma (sic!!) non hanno altra preoccupazione che impinguare la loro cassaforte – si legge sul giornale capitolino, che va in stampa in serata – oppure sono presi dalla nobilissima idea di considerare lo sport del calcio come un genere di lusso, anzi di gran lusso? Pare di sì. Ad ogni modo è veramente doloroso vedere la domenica i nostri poveri tifosi avvicinarsi trepidanti agli sportelli e guardare con ansietà il cartellino che segnerà il prezzo di ingesso! Quanto si pagherà? Si domandavano già fra loro durante il viaggio che dovrà portarli da Roma all’Appio (il Motovelodromo Appio, stadio dei giallorossi, n.d.r.)».
Oltre ai prezzi salati, “L’Impero” lamenta il fatto che la Roma non renda disponibile per i propri tifosi un tariffario chiaro, in modo da evitare brutte sorprese: «Le società sportive non hanno infatti la buona abitudine di segnare i prezzi di ingresso sui manifesti murali, come avviene per esempio per i teatri, ma lasciano sempre che la mazzata, il povero tifoso la riceva quando già ha compiuto un viaggio per recarsi dove si svolgerà la partita, perché così facendo, pensano che giunti ormai alle porte del loro paradiso, non guarderanno a lire più o lire meno, ma rassegnati troveranno ugualmente la forza di sacrificarsi per lo sport da essi preferito».
Il quotidiano capitolino non menziona i prezzi dei posti più ambiti nelle tribune, limitandosi a spiegare che, per ripiego, tanti tifosi scelgono i settori popolari pagando 10 lire. «Dieci lire per un posto popolare sono un po’ troppe, se non addirittura esagerate – spiega “L’Impero” – specie all’Appio dove vi è da aggiungere la spesa per la pulitura dei pantaloni e delle scarpe oltre a quella non indifferente per recarvisi (con il tram, n.d.r.)».
Nell’articolo si fa anche un riferimento sarcastico alla “quota 90”, ovvero all’avviato progetto di rivalutazione della nostra moneta con il governo che punta a raggiungere il cambio di 90 lire per una sterlina inglese: la Roma, al contrario, sembra essersi scordata di questa politica, svalutando la lira con prezzi fuori mercato.
Il sistema dei prezzi alti al bottegino rientra probabilmente nell’esigenza di raccogliere risorse da parte del club giallorosso, appena nato e già molto ambizioso. La gestione di una società sportiva professionistica, nel 1927, è già un’attività particolarmente onerosa, soprattutto ad alti livelli.
In serata si riunisce a Palazzo Braschi l’Ente sportivo provinciale della Federazione fascista dell’Urbe, che riceve il placet della Figc per disputare il 6 gennaio 1928 un incontro tra una selezione calcistica del Lazio e una del Piemonte. La riunione, che esamina anche altre questioni sportive, si chiude alle 23.30. La Federcalcio, con un comunicato ufficiale pubblicato anche dal comitato regionale laziale, fa sapere che sono aperte le iscrizioni al torneo riserve, cui devono obbligatoriamente partecipare le squadre di Divisione Nazionale, Prima e Seconda Divisione: anche la Roma, quindi, dovrà gestire ufficialmente una squadra B, cosa che peraltro sta già facendo sin da settembre.
Nella foto all’inizio dell’articolo: una formazione della Roma 1927-28.