È entrato nel cuore dei tifosi della Roma con la sua carica da toscanaccio e, soprattutto, grazie al gioco spettacolare della sua squadra, capace di acquisire credito persino a livello internazionale. Questo è Luciano Spalletti, allenatore della Roma dal giugno 2005 al settembre 2009 e tornato in sella in questo assolato gennaio 2016.
Viene chiamato ad allenare la Roma in un momento davvero difficile. È giugno del 2005 e i giallorossi sono reduci dalla “stagione dei quattro allenatori” quando sulla panchina si alternano, tra mille difficoltà, Cesare Prandelli, Rudy Völler, Gigi Delneri e Bruno Conti che, alla fine, riesce ad evitare il baratro della Serie B. Spalletti è chiamato a ricostruire uno spogliatoio spaccato e demotivato. Batte la concorrenza di Zeman, Guidolin e Trapattoni per firmare il 16 giugno 2005 un contratto biennale con la famiglia Sensi. «Bisogna ripristinare certi valori – spiega appena arrivato a Roma – dobbiamo partire dai comportamenti nello spogliatoio. Nel mio primo discorso alla squadra dirò semplicemente questo: torniamo alla normalità». I “comportamenti” (con la c aspirata alla toscana) e gli “atteggiamenti” diventeranno principi fondamentali nella sua gestione del gruppo.
L’ambiente, in quel 2005, ribolle anche tra i tifosi: nei giorni precedenti alla firma del contratto vengono affissi, nei pressi di Villa Pacelli, residenza della famiglia Sensi, una serie di manifesti che recitano: “Sampdoria… Serie B, Venezia… Serie B. Con questo passato no a Spalletti” e lo stesso tecnico ammette, appena sbarcato, di aver ricevuto «due o tre messaggi anonimi che mi invitavano in maniera brusca a tornare indietro». Ma ci vuole ben altro per spaventare questo atletico 46enne toscano nato il 7 marzo 1959 a Certaldo, grazioso paesino della provincia di Firenze di cui è originario anche lo scrittore Boccaccio.
Figlio di un guardiacaccia, Carlo, morto quando Luciano aveva solo 24 anni, ha un passato da buon centrocampista in Serie C. Comincia a tirar calci a un pallone da bambino, dalle sue parti, nell’Avane, come racconta lui stesso nel suo sito ufficiale. A 12 anni passa alla Cooperpopolo da dove spicca il salto verso le giovanili della Fiorentina (arriva fino agli Allievi) per poi trasferirsi al Club Sportivo Firenze, società satellite dei viola. A 18 anni inizia a girovagare tra i dilettanti: prima due stagioni alla Volterrana («più di 100 chilometri al giorno condivisi con il mister Beppe Fiaschi (ex viola) mi imponevano di non sbagliare mai partita, sennò durante il tragitto chi lo sentiva», ricorda Spalletti) poi tre anni nella Cuoiopelli e altri tre nel Castelfiorentino, quindi, nel 1985, il salto in Serie C2 nell’Entella di Chiavari, allenata da Giampiero Ventura.
Il 26enne Luciano Spalletti gioca titolare (segnando anche 2 reti) da interno destro, tutto corsa e forza. Nel 1986 nuovo salto di categoria: Ventura passa allo Spezia, in C1, e vuole con sé anche quell’affidabile centrocampista di Certaldo. In Liguria Spalletti resta per quattro anni, incontrando la madre dei suoi tre figli, Tamara. Nel 1990-91 viene ingaggiato dal Viareggio, in C2, poi torna in C1 all’Empoli, con cui disputa le sue ultime due stagioni da calciatore, tra il 1991 e il 1993, prima di dire addio per una serie infinita di problemi a un ginocchio.
A conclusione della stagione 1993-94 inizia ad allenare proprio il suo Empoli, salvandolo dalla retrocessione in C2. Nella stagione successiva guida gli Allievi e poi torna in prima squadra, per tre anni, fino al 1998, conquistando due straordinarie promozioni consecutive che portano l’Empoli in Serie A. Nel 1999 supera l’esame da allenatore di prima categoria con il massimo dei voti: 110/110 con lode. La sua tesi, ripescata nel 2017 da Tuttosport, è intitolata “Il sistema di gioco 3-5-2”. Il relatore è il compianto Franco Ferrari (ex calciatore di Genoa e Parma, poi allenatore e docente, deceduto nel 2016): 24 pagine che Spalletti, in quel periodo alla guida della Sampdoria, suddivide in vari capitoli: “Perché il 3-5-2. Lo Staff. I giocatori. Elementi di gioco. Linguaggio e terminologia da campo. Le esercitazioni difensive e offensive”.
Compagno di studi e di camera è Aurelio Andreazzoli, a lungo collaboratore poi dello stesso Spalletti e tecnico della Roma nel 2013: «Luciano a quei tempi era già un allenatore importante, lui arrivava e io lo aggiornavo sulle lezioni, poteva anche saltarne qualcuna tanto era uno dei più bravi – sorride – abbiamo poi avuto la fortuna di avere come docente Ferrari, figura insostituibile, coinvolgente».
Spalletti però due campionati difficili, conoscendo l’esonero, nella Sampdoria (1998-99) e nel Venezia (1999-2000), prima che la sua carriera in panchina decolli definitivamente alla guida di Udinese (primavera 2001), Ancona (gennaio-giugno 2002) e nuovamente Udinese (2002-05).
Franco e Rosella Sensi gli mettono gli occhi addosso quando riesce a portare i friulani in Champions League, con uno strabiliante quarto posto ottenuto nel 2004-05. Alto, totalmente pelato, un po’ permaloso, ma ironico come il suo essere toscano impone, Spalletti ha un approccio molto professionale con il lavoro di allenatore: passa le ore a Trigoria, studia gli avversari al computer, guarda video, si tiene aggiornato. È molto attento al rispetto delle regole, ai tanto cari “comportamenti” e “atteggiamenti”.
I primi mesi a Trigoria sono davvero difficili: dopo 8 giornate la Roma ha solo 9 punti, 15 in meno della Juventus capolista. Arriva un pareggio nel derby, una bella vittoria per 3-2 a Milano sull’Inter, ma poi c’è un nuovo crollo con i ko casalinghi contro Juve (1-4) e Palermo (1-2) oltre alla sconfitta con la Stella Rossa (3-1) in Coppa Uefa. Le radio della Capitale si infuriano, in tanti chiedono che Luciano Spalletti non mangi a Roma il panettone. Invece, proprio sotto Natale, cambia qualcosa.
Il tecnico avalla la cessione di Cassano a gennaio al Real Madrid e intanto lavora a un nuovo modulo tattico: 4-2-3-1 con Totti unica punta e i centrocampisti a fare da incursori per supportare l’attacco. La formula funziona e così, nell’inverno 2005-2006, nasce la bellissima Roma di Spalletti, che pian piano diventa un modello di calcio spettacolo in tutta Europa. La rinascita è suggellata dal record assoluto di 11 vittorie consecutive realizzato tra il 21 dicembre 2005 e il 26 febbraio 2006.
A rendere più bella l’impresa è la ciliegina sulla torta dell’undicesimo successo, ottenuto nel derby contro la Lazio, battuta 2-0 con gol di Taddei e Aquilani. Ogni diffidenza è ormai spazzata via anche se rimane un pizzico di amaro in bocca per la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter. La Roma arriva quinta, ma con le penalizzazioni di Juve, Milan e Fiorentina per lo scandalo di Calciopoli, ottiene il secondo posto e la qualificazione in Champions League a tavolino.
La successiva stagione di Spalletti nella Capitale si apre con una tremenda sconfitta in Supercoppa Italiana: la Roma, in vantaggio per 3-0 a Milano sull’Inter, riesce a farsi rimontare e perde 4-3 ai supplementari. Non è la prima volta che i giallorossi hanno questi black-out (a Palermo, qualche mese prima, erano passati dal 3-0 al 3-3) e accadrà ancora. Con la Juve in Serie B per Calciopoli e il Milan penalizzato, Roma e Inter diventano padrone del campionato. Una doppietta di Totti permette ai giallorossi di sfatare, dopo 20 anni, il tabù di San Siro rossonero mentre al Catania viene rifilato un pesante 7-0. L’Inter però è troppo forte e chiude il campionato vincendo 30 partite su 38 con 97 punti in classifica, 22 in più dei giallorossi.
La formazione della Roma di Spalletti
Il 4-2-3-1 di Luciano Spalletti ha avuto alcuni interpreti chiave. A cominciare dalla coppia di centrocampo, composta dal “Pek” David Pizarro e da Daniele De Rossi, calciatori dalle caratteristiche complementari. Nel tridente offensivo, trovavano spazio Mancini e Rodrigo Taddei sulle fasce laterali, e Simone Perrotta trequartista-incursore. Ma il vero regista offensivo di quella squadra è stato Francesco Totti, nel ruolo di falso centravanti che ha interpretato alla perfezione.
In Champions League la Roma prima annichilisce con il suo calcio champagne il Lione, considerato la forza emergente del calcio europeo, poi però si fa annientare dal Manchester United, che si impone 7-1 all’Old Trafford. Per leccarsi la ferita inglese rimane la Coppa Italia che stavolta vede primeggiare la Roma (6-2 all’Olimpico e 1-2 a Milano) nella finale con l’Inter. C’è tempo così anche per una nuova rivincita con i nerazzurri in Supercoppa e stavolta Totti e compagni non sbagliano, imponendosi 1-0 al Meazza il 19 agosto 2007 grazie a un rigore di De Rossi.
Spalletti ha dato ormai un’identità precisa alla sua creatura che contende ancora una volta lo scudetto all’Inter. La partenza è a razzo, ma lo scontro diretto con i nerazzurri, perso per 4-1 in casa (con espulsione di Giuly) ripristina le vecchie gerarchie: l’Inter davanti e la Roma a inseguire. Al giro di boa i nerazzurri hanno 7 punti di vantaggio sui giallorossi che però tengono vivo il campionato fino alla fine. È l’anno del “non succede, ma se succede” che vede i ragazzi di Spalletti giocarsi tutto negli ultimi 90 minuti con un solo punto che separa le due contendenti: i nerazzurri soffrono ma vincono a Parma grazie a Ibrahimovic mentre i giallorossi, in vantaggio lungamente a Catania, si fanno raggiungere nel finale sull’1-1.
Lo scudetto va ancora all’Inter che però viene nuovamente battuta in finale di Coppa Italia, 2-1, in gara unica all’Olimpico. In Champions invece l’impresa viene fatta con il Real Madrid, superato 2-1 al Bernabeu ed eliminato, ma il cammino giallorosso si ferma nuovamente sullo scoglio Manchester United che vince 2-0 all’Olimpico e 1-0 all’Old Trafford. Il bel gioco e le imprese europee gli valgono comunque un approfondimento del “The Guardian” che definisce il gioco di Luciano Spalletti «una bella marca di football d’attacco».
Nelle settimane successive l’idillio con l’allenatore di Certaldo si rompe. Probabilmente la causa scatenante è la notizia, del tutto inaspettata, di un incontro con un rappresentante del Chelsea in un hotel di Parigi, il 2 giugno 2008. Si perde la magia, i giocatori non lo seguono più come in passato, sembrano scarichi, logori. C’è poi la voce continua di un corteggiamento della Juve che vorrebbe Spalletti dal 2009.
Dopo 10 giornate la Roma ha altrettanti punti e scoppia la contestazione a Trigoria. «Sono preoccupato anche io – le parole di Luciano Spalletti – ma noi ci mettiamo tutti massimo impegno». Otto vittorie consecutive tra campionato e coppe e il primo posto nel girone della Champions League sembrano segnali di ripresa, ma ben presto la squadra ricade in troppe incertezze.
La stagione si chiude con l’eliminazione in Coppa Italia ai quarti di finale (per mano dell’Inter) e in Champions agli ottavi (contro l’Arsenal ai rigori), ma soprattutto con un sesto posto in campionato che esclude la Roma dall’Europa che conta. Dopo tante delusioni Spalletti è inquieto, medita sul proprio futuro, sembra a un passo dalla Juventus, ma viene convinto da Rosella Sensi a restare al timone giallorosso. «Rimango perché voglio rimanere – spiega – perché potrò fare sempre quello che voglio. Gli stimoli, la voglia di fare bene devono essere la prima qualità soprattutto nella prossima stagione».
La scelta però è sbagliata perché anche con la Sensi, evidentemente, qualcosa si rompe nelle settimane successive. Spalletti si aspetta qualcosa dal mercato e invece arrivano soltanto Burdisso e Guberti oltre a qualche rientro dai prestiti. «Gli obiettivi si fissano su una base di programmazione e organizzazione e noi in questo momento non siamo in grado di farlo – dice uno Spalletti sconsolato prima dell’esordio in campionato – abbiamo troppe assenze e defezioni per delineare la nostra forza. Dobbiamo navigare a vista e guardare quello che abbiamo davanti».
Le sconfitte con Genoa e Juventus rompono definitivamente il giocattolo. Martedì 1° settembre 2009 Luciano Spalletti, poco dopo le 13, incontra Rosella Sensi nel quartier generale di Villa Pacelli. I due hanno un colloquio di mezz’ora, poi il mister, uscendo, dice brevemente: «Ho dato le dimissioni e la società le ha accettate. Si è chiuso quindi il mio rapporto con la Roma. Dovevo assumermi le mie responsabilità». Finisce così il matrimonio con l’allenatore di Certaldo, tanto amato dai tifosi e capace di far ammirare la Roma, con il suo gioco spumeggiante, in tutta Europa. Finisce un rapporto di quattro anni, ricco di gioie e momenti esaltanti. E Spalletti, qualche settimana dopo l’addio, a mente fredda, lo sottolinea: «Dovrò sempre dire grazie alla Roma per le emozioni e le sensazioni che mi ha dato».
L’allenatore toscano ci mette poco a trovare una nuova panchina: già a dicembre lo Zenit San Pietroburgo lo ingaggia, facendogli firmare un triennale da quattro milioni di euro netti all’anno. Spalletti centra l’obiettivo vincendo due titoli russi consecutivi (nel campionato 2010 e nel 2011-12) oltre alla coppa nazionale (2010) e alla Supercoppa (2011). Nel 2012 firma un altro contratto di tre anni, ma viene esonerato nel marzo 2014, dopo due secondi posti nella Premier Liga russa e un periodo difficile in cui lo Zenit vince soltanto una gara su 11. Spalletti, rimpiazzato da Villas-Boas, paga anche per il non entusiasmante rendimento nelle coppe europee, che vedono lo Zenit non andare mai oltre gli ottavi di finale.
L’addio avviene con una stretta di mano, tanto che il tecnico toscano, con un comunicato ufficiale sul sito web del club russo, ci tiene a salutare con affetto: «Ho passato a San Pietroburgo quattro magnifici anni – scrive – l’amore che mi ha circondato per tutto questo periodo mi ha reso un vero abitante, un vero cittadino, qui è nata Matilda, qui ha trovato il suo mondo Federico, “Piter” (come i sanpietroburghesi chiamano affettuosamente la città, n.d.r.) è la mia casa, io vivrò qui».
L’allenatore di Certaldo decide di prendersi un periodo di riposo, lautamente ricompensato dai rubli del suo contratto, che non viene rescisso. Nel giugno 2015 si dice pronto a rientrare in patria: «All’estero sono stato benissimo, ma credo che sia giunta l’ora di tornare in Italia, che è casa mia – le sue parole a Sky Sport il 3 giugno – sono un tecnico come tanti in attesa di tornare ad allenare. Se capitasse una situazione ideale non avrei dubbi a lasciare l’estero per tornare a casa mia».
Quella situazione ideale, a metà tra scelta di cuore e di cervello, si concretizza sette mesi più tardi, alla fine del regno di Rudi Garcia: Luciano Spalletti non riesce a resistere al richiamo della “sua” Roma e, dopo qualche settimana di ammiccamento, torna a sedere sulla panchina giallorossa per far sognare di nuovo i tifosi.