Mediano con i piedi da mezzala e allenatore dall’enorme personalità: Fabio Capello ha lasciato una segno importante nella storia della Roma e del calcio italiano. Nato il 18 giugno 1946 a Pieris, frazione di San Canzian d’Isonzo, in provincia di Gorizia, figlio di Evelina Tortul (nata nel 1920 e deceduta nel 2017) e Guerrino Capello (nato nel 1915, scomparso nel 1983), maestro di scuola elementare che fu buon giocatore (interno sinistro) nel Pieris tra il 1935 e il 1947, arrivando alla Serie C. Ha una sorella maggiore, Bianca, che da adulta si è trasferita a Mestre. Lo zio materno era Mario Tortul (nato nel 1931 e deceduto nel 2008), mezzala di Sampdoria, Triestina e Padova con una presenza in nazionale nel 1956. Da bambino lo chiamano “el tato” perché è il più piccino di tutti. La famiglia Capello abita inizialmente nel centro storico, in via Cortili, e nel 1949, quando Fabio ha tre anni, si trasferisce in un appartamento vicino al municipio, dove mamma Evelina vive tuttora.
Al Corriere della Sera del 26 giugno 2010 Giuseppe Marizza ricorda il Capello bambino. Marizza, classe ’47, indossava la divisa amaranto del Pieris dove, nei primi anni ’60, Capello junior era mezzala con il numero 8 e Capello senior allenatore. Guerrino Capello era maestro alle elementari del paese e mister della squadra di calcio: «Entrava in spogliatoio e ci parlava con la sua voce roca, forte, autoritaria. Da suo figlio Fabio pretendeva molto: quando noi finivamo gli allenamenti lo teneva ancora in campo a fare altri esercizi». Pretendeva molto anche sui banchi di scuola. Lo ricorda bene Flavio Bertogna, suo vicino di appartamento in via Volta: «A Fabio non faceva sconti. Una volta, sarà stato in quarta elementare, lo ha ripreso davanti a tutti perché aveva scritto ‘scatole’ con due T». In paese si racconta che anche il Milan era interessato al giovane Fabio ma che papà Guerrino aveva dato la sua parola alla Spal e, nonostante le insistenze di Nereo Rocco, la volle mantenere.
Nelle file della Spal esordisce in Serie A il 29 marzo 1964 (Sampdoria-Spal 3-1). A Ferrara conosce Laura Ghisi, che sarà sua moglie (e gli darà i figli Pierfilippo, affermato avvocato che si occupa anche di doping e diritto sportivo, ed Eduardo), ma soprattutto diventa un giocatore vero, centrocampista dall’ottima visione di gioco. Il presidente della Roma Franco Evangelisti lo strappa alla concorrenza portandolo a Roma nel 1967, su consiglio di Luigi Brunella, terzino dello scudetto del ’42. In giallorosso trova come allenatori Oronzo Pugliese prima ed Helenio Herrera poi: «Era un giocatore completo – il ricordo di Herrera anni dopo – si vedeva che avrebbe fatto carriera, per il senso geometrico del gioco, ma anche per il carattere. Disciplinato, serio, “normale”, cioè senza grilli pericolosi per la testa, e molto intelligente anche fuori dal campo. In più, sinceramente appassionato a ciò che faceva».
Regista classico, alto 1,76 per 73 chili di peso, è soprannominato “geometra” per le sue caratteristiche in campo, ma anche per il suo titolo di studio. Crescendo acquisisce anche una certa dimestichezza con il gol. Il primo, con la maglia della Roma, è da sogno, il 5 novembre 1967: i giallorossi, splendidamente guidati da Pugliese, sono addirittura primi in classifica e vanno a giocare contro la Juventus campione d’Italia. Il tecnico di Turi imposta la partita sul catenaccio e contropiede cosicché al 31’ del secondo tempo matura il gol della Roma: rovesciamento fulmineo, Jair passa a Taccola che serve Capello. Destro preciso che batte Anzolin. La Roma vince 1-0 a Torino e mantiene la vetta. Due palloncini gialli e rossi si levano dal settore dove sono presenti i pochi tifosi giunti dalla Capitale. Il 21enne Capello, non ancora titolare, è al settimo cielo.
L’anno successivo, con Helenio Herrera in panchina, Fabio Capello diventa il faro del centrocampo giallorosso, segna 6 gol in campionato (due doppiette e ancora una rete alla Juve, ma stavolta finisce 2-2) ed è protagonista in Coppa Italia. La formula del torneo prevede un girone finale a quattro con Torino, Cagliari e Foggia. Nell’ultima decisiva partita del 29 giugno 1969, in casa dei pugliesi, Capello si scatena. Allo Zaccheria il clima è incandescente, ma la Roma non si fa intimorire e al 13’ passa in vantaggio con un’azione da cineteca: discesa di Scaratti, palla a Capello che, al limite dell’area, si libera con una finta di Taneggi e Camozzi, per poi girarsi e battere il portiere Trentini di sinistro, all’angolino basso. Il centrocampista giallorosso completa la doppietta al 1’ della ripresa: conclusione di D’Amato, Trentini respinge il pallone su cui irrompe Capello toccando in rete. Poi arriva anche il tris di capitan Peirò e il gol della bandiera di Saltutti. La Roma vince la sua seconda Coppa Italia e in città la gente si riversa in strada con le bandiere per festeggiare.
Nel 1969-70 la Roma non brilla, ma Capello conferma quanto di buono mostrato negli anni precedenti. Realizza 4 reti in campionato, di cui una fondamentale nel 3-2 a San Siro contro il Milan, e 2 gol su rigore nell’infinita serie dei tre match contro il Gornik, che porta all’eliminazione per sorteggio della Roma dalla Coppa delle Coppe. In estate poi il colpo di scena: il 14 luglio 1970 Fabio Capello, Luciano Spinosi e Fausto Landini vengono ceduti alla Juventus per 600 milioni più Viganò, Bob Vieri, Zigoni e Del Sol. In città scoppia la rivoluzione contro il presidente Alvaro Marchini, colpevole di aver lasciato partire i tre giovani gioielli giallorossi. Si consuma così il primo passaggio alla Juve di Capello. Tra il 1972 e il 1976 colleziona 32 presenze e 8 reti in nazionale, segnando il gol che consente all’Italia di vincere per la prima volta in casa dell’Inghilterra, a Wembley, il 14 novembre 1973. Partecipa in azzurri ai fallimentari Mondiali del 1974. Nella Juve vince tre scudetti.
Già da calciatore è un perfezionista e in estate, quando torna nella sua Pieris, non si ferma mai: «Neanche in quei mesi smetteva di allenarsi – racconta il vecchio amico Gianfranco Russi all’Ansa il 5 giugno 2010 – percorreva quotidianamente 7-8 chilometri di corsa per tenersi in forma. Dopodiché andava a caccia o si dedicava alle immersioni subacquee. Una dedizione e uno spirito di sacrificio ereditati sicuramente dal padre, che a tutti i suoi alunni insegnava sempre i valori dello sport e l’impegno necessario per svolgerlo al meglio». Nel 1976 passa al Milan con cui chiude la carriera da calciatore nel 1980. Pur da comprimario (gioca soltanto 8 gare, di cui 3 da titolare) contribuisce alla conquista del decimo scudetto rossonero, quello della stella, nel 1979. L’11 dicembre 1979 è Fabio Capello protagonista di un’aggressione, con colpi ripetuti alle spalle, al giornalista della Gazzetta dello Sport Alberto Cerruti, che lo ha criticato in un articolo. Il calciatore viene sospeso dal Milan per 30 giorni e multato per 5 milioni dalla società rossonera. Cerruti presenta querela per lesioni. La vicenda si conclude con una riappacificazione dopo sette mesi, il 26 giugno 1980, tanto che Cerruti ritira la sua querela.
Appena lasciato il calcio inizia ad allenare le giovanili del Milan. Nel 1981-82, con i ragazzini rossoneri, affronta, in una partitella d’allenamento disputata il 14 ottobre 1981, la nazionale di Bearzot. Nel 1982-83 è alla guida della Berretti del Milan. Nel 1983-84 passa alla Primavera con cui arriva secondo in campionato. Nel 1984-85 vince la Coppa Italia Primavera. Nel 1985-86 è ancora al Milan Primavera così come nella stagione successiva. Alla fine del 1986-87 è chiamato da Silvio Berlusconi alla guida della prima squadra al posto di Nils Liedholm che sostituisce nelle ultime 4 partite e nel vittorioso spareggio Uefa contro la Sampdoria. Sulla panchina rossonera, nel giugno 1987, conquista il Mundialito Clubs. Tra il 1987 e il 1991 lascia la panchina per dedicarsi, come dirigente e manager, alla polisportiva Mediolanum messa in piedi da Berlusconi. Nel frattempo non manca di fare qualche apparizione come commentatore televisivo.
Nel 1991 Fabio Capello inizia la sua vera carriera di allenatore ad alto livello sostituendo Arrigo Sacchi alla guida del Milan. Rimane sino al 1996 vincendo 4 scudetti, 3 Supercoppe Italiane, una Coppa dei Campioni e una Supercoppa Europea. E’ un allenatore pragmatico, carica il gruppo, vuole abnegazione e disciplina. In campo preferisce la vittoria allo spettacolo. Non ama i fronzoli. Nel 1996-97 tenta con successo l’avventura al Real Madrid, in cerca di rilancio dopo essere rimasto clamorosamente fuori dalle coppe europee (non accadeva da 18 anni), e vince la Liga spagnola. Nel 1997-98 torna in soccorso del Milan in difficoltà, ma fallisce arrivando soltanto decimo. Poi si concede un anno sabbatico.
29 anni dopo la cessione di Marchini matura il ritorno alla Roma. Capello è da tempo un allenatore affermato. Il presidente della Roma Franco Sensi lo chiama al posto di Zdenek Zeman nel 1999 perché vuole vincere e “Don Fabio”, come l’hanno ribattezzato in Spagna, non tradisce. «Per me il divertimento è solo la vittoria – dice – sono uno che pensa soltanto a tagliare il traguardo, il resto è poesia».
Fuori dal campo ama la pittura, in particolare quella astratta, la musica classica, il buon vino, il mare e viaggiare. «Eccelleva in tutti gli sport: tennis, nuoto – ricorda in un’intervista al “Messaggero Veneto” del 18 giugno 2016 Edoardo “Edy” Reja, calciatore, allenatore, compagno di Capello nella Spal e suo amico storico – lo andavo a prendere a Pieris, poi uscivamo in mare con la sua barchetta. Si tuffava e riemergeva sempre con qualche passera, un grande».
In campo è un allenatore pragmatico, poco spettacolare, ma capace di caricare al massimo la sua squadra: «A Roma ho costruito una mentalità vincente a giocatori che a marzo cominciavano a pensare al mare», racconta nel 2005. La prima stagione è a due facce: i giallorossi partono bene, battono la Lazio 4-1 chiudendo la pratica in mezz’ora e si ritrovano in vetta, a braccetto con biancocelesti e Juventus, per due giornate, l’11ª e la 12ª. L’illusione però dura poco perché arriva qualche sconfitta di troppo, l’eliminazione della Coppa Italia, ad opera del modesto Cagliari, e dalla Coppa Uefa, per mano del Leeds United. Nelle ultime 10 gare di campionato la Roma si inceppa definitivamente e raccoglie solo una vittoria, 6 pareggi e 3 sconfitte (di cui una nel derby) chiudendo al sesto posto in classifica. Gli “orfani di Zeman” si scagliano contro Capello, reo di non aver portato il salto di qualità sperato e di non dare un gioco spettacolare alla squadra. Tanto più che la Lazio, in quel 2000, vince lo scudetto.
Sensi mette mano al portafoglio e rinforza la rosa acquistando, tra gli altri, Batistuta, Samuel, Zebina ed Emerson. “Don Fabio” stavolta non sbaglia un colpo. La sua Roma si trasforma in una corazzata indistruttibile in cui tutti danno il massimo: Batistuta segna 20 reti, Totti e Montella 13, Samuel è un muro in difesa, Cafu e Candela volano sulle fasce, Zago è insuperabile, Cristiano Zanetti ed Emerson rompono e costruiscono a centrocampo, Tommasi sembra indemoniato. I giallorossi conducono un campionato quasi sempre in vetta conquistando il terzo scudetto il 17 giugno 2001, all’ultima giornata, battendo 3-1 il Parma. Un’invasione di campo, prima del fischio finale, fa temere una sconfitta a tavolino che comprometterebbe tutto. Capello si infuria con i tifosi e li caccia urlando con violenza: «Ebbi grande paura. Ho temuto di perdere uno scudetto vinto per una fesseria» ricorda nel 2006. Poi però tutto finisce bene: «E’ lo scudetto più bello perché più atteso e più sofferto – dice a caldo – uno scudetto meritato che mi dà una gioia particolare perché conquistato in una città difficile». Capello ha il grande merito di aver dato a quella squadra un furore agonistico e una concentrazione fuori dal comune: chi è nello spogliatoio racconta delle sue paurose sfuriate nell’intervallo delle partite per scuotere i giocatori, quando un match iniziava male. Don Fabio però non smentisce la sua fama di duro un po’ cinico e non si presenta, unico della squadra, alla grande festa del Circo Massimo, il 24 giugno.
Walter Samuel, in un’intervista alla “Gazzetta dello Sport” del 30 novembre 2018, ricorda così il tecnico friulano: «Con un solo esempio (“Guarda che così Inzaghi te la ruba e neanche te ne accorgi”) mi ha fatto capire l’importanza di giocare la palla velocemente e mi ha lasciato un motto, dopo un brutto litigio con Panucci: squadra nervosa, squadra vittoriosa».
La stagione con lo scudetto sulle maglie si apre con la vittoria nella Supercoppa Italiana (3-0 alla Fiorentina) che però resta l’ultimo successo di Capello a Roma. Nei tre anni successivi i giallorossi raccolgono un secondo, un ottavo e un altro secondo posto. Nel 2003-2004, in particolare, la squadra a tratti è irresistibile (rifila un 5-0 al Brescia, 4-0 al Bologna fuori casa, 4-0 alla Juve, 6-0 al Siena, 4-1 al Parma fuori casa, 4-1 all’Inter), ma si specchia troppo nella propria bellezza (Cassano, Totti e Amantino Mancini danno spettacolo) e talvolta cade in scivoloni banali che regalano lo scudetto al Milan. Capello capisce che qualcosa si è inceppato e soprattutto che il presidente Sensi non può più investire come una volta e così va via all’improvviso.
La sera del 27 maggio è a cena con il direttore sportivo Franco Baldini e il nuovo acquisto Philippe Mexes per parlare del futuro in giallorosso, ma qualche ora dopo carica le valige in macchina e corre a Torino, per accordarsi con la Juve grazie a una clausola che gli permette di rescindere il contratto con la Roma. I tifosi giallorossi si sentono traditi soprattutto alla luce di alcune dichiarazioni di qualche mese prima, il 7 febbraio, quando aveva detto: «Io non andrei alla Juve, sono scelte di vita. Rispetto la società che colloco tra le prime cinque al mondo, ma a me non interessa andare lì». Il 18 aprile 2003 era andato anche oltre: «E’ una squadra che non m’interessa, apprezzo la società, ma il mio è un discorso personale. Dico certe cose forse anche per l’età che ho perché, per quello che ti permette di fare, chiunque vorrebbe andarci, ma io no». Il matrimonio tra Fabio Capello e la Roma finisce qui, definitivamente, con un altro passaggio alla Juventus. Resta lo splendido ricordo della cavalcata del terzo scudetto romanista, ma anche l’amaro in bocca di un tradimento profondo, che i tifosi non gli perdoneranno mai.
In bianconero vince due scudetti, poi revocati per lo scandalo di Calciopoli. Nel 2006, dopo la retrocessione in Serie B della Juventus per gli illeciti sportivi di Luciano Moggi e Antonio Giraudo, il tecnico di Pieris torna al Real Madrid, vincendo per la seconda volta il campionato spagnolo. Nel 2007 va ad allenare la nazionale inglese e nel 2012 passa a quella russa, che lascia nel 2015. Nel 2017-18 ha un’ultima esperienza in panchina, in Cina, alla guida dello Jiangsu Suning, club che fa capo alla stessa proprietà cinese dell’Inter.
Fonti: “Tutti gli uomini che hanno fatto grande la As Roma” di Adriano Stabile (Ultrasport).
Archivio Ansa
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Informazioni su Guerrino Capello fornite da Fabrizio Schmid