Come sarebbe stata la Roma con Altafini in attacco? Non lo sapremo mai. Il connubio, ormai è storia, si sarebbe potuto concretizzare in almeno un paio di occasioni. José Altafini, per i più giovani, è soltanto un brillante commentatore, famoso per il “golazo” e per la sua simpatia. In passato però Altafini è stato un sommo attaccante, campione del mondo a 20 anni, nel 1958, con la maglia del Brasile, nazionale azzurro con la qualifica di “oriundo” e trascinatore di Milan, Napoli e Juventus a forza di gol, ben 216, in Serie A.
E’ lo stesso Altafini ad aver rivelato i suoi contatti ravvicinati con la Roma, sulle pagine della sua biografia a puntate, pubblicata dal Guerin Sportivo nel giugno 1975: «Scaduto il contratto con il Napoli (nel 1972, n.d.r.), mi trovai disoccupato – racconta Altafini – ma senza problemi in quanto sapevo che un posto lo avrei comunque trovato. Mentre ero ancora in azzurro, infatti, Herrera, che allora allenava la Roma, mi invitò a casa sua. Era l’aprile del ’72 e il “Mago”, molto gentilmente, mi disse che, se avessi voluto, il centravanti della Roma, l’anno successivo, sarei stato io.“Di lei – aggiunse – farò un nuovo Di Stefano”».
«Quando uscii dall’abitazione di Herrera era tutto praticamente fatto. Qualche giorno più tardi parlai con Anzalone (presidente della Roma, n.d.r.) col quale discussi il mio contratto: l’accordo fu trovato sulla base di 50 milioni più un milione a gol. Tutto a posto, quindi, niente da ridire».
Nel calciomercato però, anche allora, non c’erano certezze e infatti, dopo qualche tempo, l’affare è sfumato: «Ferlaino, visto il mio ultimo campionato, aveva deciso di guadagnare sul mio trasferimento – racconta ancora Altafini – e, grazie ad un cavillo, non mi concesse più la lista gratuita. Come tesserato del Napoli, quindi, mi mise sul mercato: il mio cartellino costava dei soldi e se lo assicurò la Juve. Io non centravo per niente, ma una volta di più fui io a farne le spese: Herrera, infatti, mi definì “donna da marciapiede” perché, secondo lui, a me interessano solo i soldi».
Già 14 anni prima, nel 1958, Altafini era stato a un passo dalla Roma, quando giocava ancora nel Palmeiras, in Brasile, e lo chiamavano “Mazzola” per la sua somiglianza con Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino: «Su di me erano puntati gli occhi della società giallorossa che mandò un suo osservatore a seguire Vasco De Gama-Palmeiras – racconta Altafini sul Guerin Sportivo del 1975 – alla fine del tempo, eravamo in vantaggio per 2-0. Nell’intervallo però ci fu detto chiaro e tondo che, se non avessimo perso, non saremmo usciti vivi dal campo. Io non sono mai stato un coniglio, ma nemmeno un kamikaze: io, alla vita, ci tenevo e ci tengo, per cui, ogni volta che il pallone mi arrivava tra i piedi, mi buttavo a terra, mi contorcevo, gridavo come un ossesso. O come un epilettico: e fu proprio a causa di questa “epilessia”, che la Roma, nel ’58, non mi prese».