Un burbero dal cuore grande, capace di segnare e di far sognare, inconfondibile con i suoi baffoni. Questo è Roberto Pruzzo, semplicemente il “Bomber” per i tifosi della Roma. Nato il 1° aprile 1955 a Crocefieschi, piccolo comune della provincia di Genova, da ragazzino gioca anche scalzo e ama il dribbling: «Dribblavo anche i pali della porta», dice ricordando quei tempi. La sua fortuna è lo zio benzinaio. Ha un distributore a Quarto dei Mille, davanti al ristorante “7 nasi”, dove va sempre a mangiare il patron del Genoa, Renzo Fossati. Lo zio gli rompe sempre le scatole e alla fine lo convince a mandare qualcuno a visionare il ragazzino. Viene Ermelindo “Lino” Bonilauri (allenatore ed ex centrocampista del Genoa e dell’Atalanta negli anni ’30-’40), che ne rimane colpito e lo ingaggia. Il primo maestro di Roberto Pruzzo è Riccardo Carapellese, indimenticato goleador anche in maglia rossoblù, che obbliga il giovane allievo a tirare bordate nelle mini-porte da hockey.
L’esordio in Serie A è datato 2 dicembre 1973, in Cesena-Genoa 1-1. I liguri però retrocedono e Pruzzo si mette in luce nel campionato cadetto, vincendo la classifica dei cannonieri nel 1975-76 con 18 reti e trascinando i rossoblù nel massimo campionato. Per i tifosi del Ferraris è ormai “O’Rey di Crocefieschi”. Nella massima divisione Roberto Pruzzo non si smentisce e, ironia del destino, firma la prima rete alla Roma, il 3 ottobre 1976, in una partita che si chiude 2-2 a Marassi. Segna 18 gol anche in Serie A e finisce sul taccuino di tutte le grandi squadre. Fulvio Bernardini, nel 1981, racconta: «Ricordo una partita Genoa-Lazio. Ad un certo punto Pruzzo fece un’azione così bella che mi scappò detto: “Ma quello lì chi è? Mandrake”».
L’addio al Genoa matura dopo un anno, nell’estate 1978, ed è doloroso. La squadra ligure, dopo aver sognato la qualificazione in Uefa nella stagione precedente, retrocede nuovamente in Serie B e Roberto Pruzzo finisce sul banco degli imputati per un rigore fallito nella penultima giornata contro l’Inter.
Parte l’asta per l’acquisto del 23enne centravanti di Crocefieschi e ha la meglio la Roma, grazie alle mosse del presidente Gaetano Anzalone e del suo direttore sportivo Luciano Moggi. La sua valutazione è di 3 miliardi di lire: un miliardo e 400 milioni, più il centrocampista Odorizzi e le comproprietà di Musiello e Bruno Conti.
Il primo anno in giallorosso è difficile: la Roma stenta, Pruzzo segna ma soffre in silenzio. Vede il caos intorno a sé e si impaurisce tanto da sperare di tornare a Genova. Sulla panchina si avvicendano Gustavo Giagnoni e Ferruccio Valcareggi. E’ proprio l’attaccante venuto da Crocefieschi a realizzare il gol della salvezza in un drammatico scontro diretto tra Roma e Atalanta, il 6 maggio 1979: in un Olimpico tutto esaurito, con i giallorossi tragicamente in svantaggio per 2-1 dalla mezz’ora, Pruzzo firma il fondamentale pareggio su cross di De Nadai al 61’. La Roma resta in Serie A e Pruzzo rimane nella Capitale.
Inizialmente non c’è unanimità di consensi nei confronti dell’attaccante ligure, che non sempre convince critica e tifosi. Fulvio Stinchelli, grande giornalista e tifoso giallorosso, nel suo libro “(La) Roma, una vita”, ricorda una sua conversazione, in tal proposito, con Fulvio Bernardini, allo stadio: «Seguendo una fase di gioco – scrive Stinchelli – mi sfuggì un apprezzamento: “Però, questo Pruzzo, a volte, fa venire il latte alle ginocchia”. Senza voltarsi, continuando a fissare il campo, il Dottore sibilò: “Non bestemmiare! Pruzzo è un attaccante eccezionale. Come difende la palla lui, non ce n’è altri”».
Nell’estate del 1979 Anzalone lascia la presidenza Dino Viola. In panchina torna Nils Liedholm, che si mostra capace di creare un legame speciale con l’ex attaccante del Genoa. Il “Barone” ridà a Roberto Pruzzo il gusto del gioco e lui risponde segnando a raffica.
Per i tifosi giallorossi diventa il “Bomber” mentre Liedholm gli affibbia il gratificante soprannome di Di Stefano, in ricordo dell’immenso campione del Real Madrid. Una prova d’affetto nei confronti dell’allenatore svedese Pruzzo la dà il 26 ottobre 1980 quando, dopo la tremenda eliminazione dalla Coppa delle Coppe (la Roma aveva vinto 3-0 con il Carl Zeiss Jena in casa per poi perdere 4-0 in Germania Est) e la pesante sconfitta in campionato con il Napoli (ancora 4-0), trascina i giallorossi al successo a San Siro. La Roma vince 4-2 con tripletta del “Bomber” (capace di segnare un altro tris esterno nella sua carriera il 1° settembre 1982, al Verona in Coppa Italia) e il cammino viene ripreso.
Per approfondire – tra i calciatori della Roma che hanno segnato all’esordio c’è anche Pruzzo, ecco l’elenco completo.
Nel 1980-81 vince la classifica dei cannonieri della Serie A con 18 reti: oltre alla tripletta all’Inter ne realizza un’altra all’Olimpico contro l’Udinese, il 30 novembre 1980. Il suo capolavoro è il gol vittoria nella gara di ritorno contro l’Inter del 15 marzo 1981: sponda di testa di Scarnecchia e mezza girata di destro di Roberto Pruzzo con palla sotto l’incrocio.
Il “Bomber” però non è soddisfatto, la Roma ha condotto gran parte del campionato in testa senza vincere lo scudetto, finito nelle mani della Juventus. «Quando segnai quel gol all’Inter, negli ultimi minuti di una partita indimenticabile all’Olimpico, credevo proprio che nessuno avrebbe potuto impedirci di catturare lo scudetto – dice rammaricato a fine stagione – è stato il più bel gol della mia carriera. E che m’importa, se da 40 anni la Roma non andava tanto bene? Siamo stati beffati».
Non molto potente fisicamente (è alto 1,80 per 75 chili di peso), abbastanza veloce e agile quando è in giornata, lento e irritante quando è fuori forma. Buon rigorista, fortissimo di testa, tecnico e rapace in area di rigore, è più bravo di destro che di sinistro. Diventa l’idolo della Curva Sud che gli canta il coro «Lode a te, Roberto Pruzzo» oppure «E dai Roberto facci un gol, la Curva Sud te lo chiede in coro, e dai Roberto facci un gol». Per Gianni Brera è un «ligure di razza nordica, gatto sornione, abulico e freddo quanto basta ad intuire d’acchitto quando serve a prodigarsi su una palla e quando no». Sposato con la lucchese (di Borgo Giannotti) Brunella Picchi (conosciuta durante un ritiro a Lucca, si sono uniti in matrimonio il 30 agosto 1976) e padre di Roberta (nata a Lucca il 7 agosto 1979), va matto per l’aragosta. Nel 1981-82 vince ancora la classifica dei cannonieri (15 reti), ma non viene convocato dal ct azzurro Enzo Bearzot per i vittoriosi Mondiali in Spagna. Sul rapporto tra Pruzzo e Bearzot si scriverà molto. La storia del “Bomber” con la nazionale è negativa: appena 6 presenze (di cui 3 da titolare) tra il 1978 e il 1982.
Si rifà con la Roma conquistando finalmente lo scudetto nel 1982-83. E’ il migliore realizzatore della squadra con 12 reti, ma soprattutto segna il gol che vale il titolo, l’8 maggio 1983, proprio nella sua Genova. La Roma pareggia 1-1 e conquista matematicamente il tricolore con una giornata di anticipo sulla fine del torneo. A quel punto Pruzzo medita di lasciare la Roma, ma Liedholm lo convince a non andarsene.
I gol del “Bomber” da ricordare sono un’infinità: dalla splendida rovesciata a Torino contro la Juventus che vale il 2-2 al 90’ il 4 dicembre 1983 alla doppietta nella semifinale di Coppa dei Campioni contro il Dundee United (finisce 3-0) del 25 aprile 1984 fino alla straordinaria incornata nella finale persa ai rigori in quella stessa coppa, il 30 maggio, contro il Liverpool. Finta del suo grande amico e assistman Bruno Conti, cross in mezzo e perfetto colpo di testa di Pruzzo. Quando Liedholm saluta la Roma per Pruzzo sembra arrivato il declino. Invece il nuovo allenatore Eriksson lo torchia e, nonostante qualche incomprensione, alla fine riesce a stimolarlo, facendolo rinascere. Il “Barone” peraltro vorrebbe portare il “Bomber” con sé al Milan, insieme con Di Bartolomei, ma Roberto rifiuta cortesemente la proposta di Liedholm per restare nella Capitale.
Lui, pigro e indolente, si mette in testa di dimostrare a Eriksson che ha ancora birra in corpo: smette di fumare, ascolta qualche consiglio del mago massaggiatore Smith e torna a segnare a raffica. Nel 1985-86 è capocannoniere della Serie A per la terza volta: realizza 19 reti di cui 17 in 14 gare giocate nel girone di ritorno. Della sua rinascita racconta, a distanza di qualche mese: «Ero già stato scaricato, preparavano in gran segreto la successione, telefonavano ripetutamente ad Elkjaer (attaccante danese del Verona, n.d.a.). Siamo ammalati di esterofilia, un gol straniero ne vale sempre tre nostrani. Ma ho costretto i dirigenti giallorossi e il signor Eriksson a rivedere i piani: segnavo ad occhi chiusi, ci avevo preso gusto, avevo il radar, scoperchiavo le difese. Quel girone di ritorno da “Attila” non è riuscito a nessun re del gol. I periodi migliori della Roma hanno sempre coinciso con il mio risveglio. Meditate, gente di poca fede».
Il 16 febbraio 1986 è la sua giornata memorabile: Pruzzo segna cinque gol all’Avellino (due su rigore) e per un pelo non ne realizza un sesto. E’ curioso come alla squadra irpina segni anche il suo centesimo gol in Serie A (nel 2-2 del 21 aprile 1984) e il suo gol numero 104 con la Roma (nel 3-0 dell’11 gennaio 1987) che gli vale il primato storico di reti in giallorosso detenuto da “Sciabbolone” Volk per oltre quarant’anni. Soltanto Francesco Totti nel 2004 supererà il record di questo calciatore atipico: «Sono l’antidivo – spiega al Guerin Mese dell’ottobre 1986 – non frequento pranzi ufficiali, non vado a mettermi in mostra alle inaugurazioni, la mano si stanca a firmare autografi. Resto provinciale indolente, un po’ grasso di lombi, senza sacri furori. La città è caos, meglio rintanarsi a casa, chiudere la porta a doppia mandata. Spesso in campo giro a vuoto, ho bisogno di arrabbiarmi. Sono il più lento del mondo che sa trasformarsi con un raptus nel più veloce. Testone e tartarugone, con istinti da Mennea».
Il giorno della sua ultima partita in giallorosso, il 15 maggio 1988, la Curva Sud lo saluta con una coreografia da brividi: prima di Roma-Verona viene srotolato uno striscione con scritto “106 volte grazie”. Intorno 106 striscioni più piccoli con il nome Pruzzo. Il riferimento è al numero dei gol segnati in campionato con la maglia giallorossa dal Bomber, che saluta commosso. Lascia la Capitale dopo aver vinto uno scudetto (1982-83), quattro Coppe Italia (1979-80, 1980-81, 1983-84, 1985-86) e 3 titoli di capocannoniere della Serie A (1980-81, 1981-82 e 1985-86).
Roberto Pruzzo va chiudere la carriera nella Fiorentina. Per lui è una stagione anonima, gioca poco e non segna mai. Ma il destino, che gli aveva fatto realizzare il primo gol in Serie A nel 1976 proprio contro i giallorossi, è ancora in agguato: Roma e Fiorentina chiudono appaiate al settimo posto ed è necessario uno spareggio per decidere chi si qualificherà in Coppa Uefa. Il 30 giugno 1989 le due squadre si affrontano a Perugia. Vince la Fiorentina con un gol proprio di Pruzzo, all’ultima partita della sua carriera. «Purtroppo è la legge dell’ex che anche oggi ha voluto la sua parte», dice a fine match, ma i tifosi romanisti non smettono certo di amarlo per questo sgarbo.
La vita del “Bomber”, dopo i fasti del campo verde, è piena di esperienze diverse, talvolta problematiche, come normale che sia per uno con la sua inquietudine. Affronta però sempre tutto a testa alta e con la voglia di cercare continuamente nuovi stimoli. Collabora con la Roma come osservatore, poi inizia una poco fortunata carriera di allenatore. Nel 1998-99 Roberto Pruzzo guida il Viareggio (Serie C2), prima di passare nel 1999-2000 al Teramo (C2), dove trova come direttore sportivo l’ex compagno giallorosso Francesco Graziani. Nel 2000-01 guida l’Alessandria, in Serie C1: esonerato il 27 novembre 2000, è richiamato sulla panchina dei grigi il 23 gennaio 2001, ma non riesce a evitare la retrocessione.
Il 17 luglio 2002 è ingaggiato dal Palermo (Serie B) del patron Franco Sensi (presidente della Roma), ma viene rimosso dall’incarico dopo pochi giorni per l’insediamento di Zamparini alla presidenza. Nel 2004-05 è vice di Giuseppe Giannini nel Foggia (Serie C1) e nel 2005-06 è ancora secondo di Giannini nella sua breve gestione tecnica della Sambenedettese (Serie C1). Il 1° dicembre 2008 è ingaggiato dal Centobuchi, squadra marchigiana che milita in Serie D, ma viene esonerato dopo meno di quattro mesi, a marzo. Successivamente lavora con le giovanili del Genoa, diventa direttore sportivo del Savona (dal 2012 al 2014) e si fa conoscere come schietto e pungente commentatore nell’emittente Radio Radio. Roberto Pruzzo, pigro e poco amante degli allenamenti, il 29 febbraio 2004 si cimenta addirittura nella mezza maratona Roma-Ostia, concludendola in meno di due ore a quasi 49 anni.
Continua con le sue mille vite, scrive anche un’autobiografia, “Bomber, la storia di un numero nove normale (o quasi)”, con la giornalista Susanna Marcellini. In 185 pagine prova a fare il riassunto di 60 anni di vita, ancora brontolone e inquieto: «Cosa mi resta della mia carriera da centravanti? I gol sbagliati e le sconfitte. Delle vittorie ho goduto poco, perché sono subito volate via. Le sconfitte no, sono rimaste qui. E ancora ci combatto. La retrocessione in B del Genoa causata anche da un mio rigore sbagliato e la finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool (nonostante il mio gol…) ancora mi vengono a trovare ogni tanto». È il solito “Bomber”, seducente per i suoi gol e per i suoi rari sorrisi.
L’inquietudine è tutt’altro che sparita: “Ogni tanto penso che sia giunto il momento di togliermi dai coglioni – scrive nel libro – un po’ perché sono stanco, un po’ perché ho voglia di non rompere più le palle a nessuno. Ma poi accadono quelle cose che ti fanno pensare che è più forte lo spirito di sopravvivenza. Come quando mi chiamano i miei amici di Dezza, cacciatori di un paese vicino a Lucca. Amici di tutta una vita, che mi invitano a mangiare i tordi e le beccacce, quelli con cui cazzeggiamo tra uomini, gli stessi che riescono a farmi pensare che forse in fondo è meglio aspettare un altro po’…“.
LE LACRIME DI ROBERTO PRUZZO PER LA FRASE SU LULIC
Da maggio del 2016, si lancia in un’iniziativa imprenditoriale. Roberto Puzzo apre un ristorante insieme con gli ex compagni di squadra della Roma, Antonio Di Carlo e Paolo Alberto Faccini. Si chiama “Osteria il 9”, come il numero di maglia del “Bomber”. Nell’aprile 2018, insieme con l’amico di sempre Bruno Conti, si fa immortalare mentre fa il dito medio davanti allo stemma del Liverpool. La foto, fatta per scherzo, finisce per qualche minuto su internet e ne nasce un incidente diplomatico.
Il 26 dicembre 2019 sorprende i tifosi della Roma per una frase che, decontestualizzata, esalta uno dei calciatori più odiati dai giallorossi, il laziale Senad Lulic: «Lulic è diventato il mio mito – dice in collegamento a Radio Radio – è un operaio, ogni tanto va fuori giri, ma dimostra quanto possano essere utili questi calciatori in un contesto di alto livello come quello della Lazio. Quando hai una manovalanza così, ogni situazione si può risolvere. Ha 33 anni ma è ancora uno bello tosto, con giocatori così vai lontano». Scoppia un putiferio tra i tifosi romanisti e Pruzzo, terribilmente addolorato, prova a spiegare: «Chiedo scusa a tutti i tifosi della Roma per le mie parole di ieri – dice ancora a Radio Radio – ma volevo solo sottolineare, in un certo tipo di contesto, la prestazione di un manovale del calcio come Lulic rispetto a tutti gli altri architetti. Avere contro i tifosi della Roma non è piacevole, ma è stata solo una battuta, una cazzata. Ho sbagliato involontariamente e chiedo scusa». Poi, durante un altro collegamento in cui cerca ancora di spiegare come è andata, scoppia addirittura a piangere e attacca il telefono. Sempre unico, Roberto Pruzzo.
Bruno Conti e Roberto Pruzzo scherzano nel luglio 2010