L’arrivo di José Mourinho alla Roma fa sognare i tifosi giallorossi: un allenatore vincente, con un palmares ricco come quello dello “Special One” (25 trofei, tra i quali 2 campionati italiani e altrettante Champions League), è una garanzia per tornare a competere ad alti livelli. Non è la prima volta che la Roma fa una scelta del genere, accaparrandosi un allenatore di alto livello, con un pedigree di prim’ordine.
La mente va subito a Fabio Capello, che Franco Sensi volle fortemente nel 1999, nonostante Zdenek Zeman fosse ben saldo sulla panchina romanista: Don Fabio veniva da una stagione di pausa dopo il fallimento della sua ultima avventura al Milan, ma la sua capacità di vincere (4 scudetti e una Champions League conquistati in rossonero tra il 1991 e il 1996) fece gola al presidente giallorosso, che intuì l’occasione da non farsi sfuggire. La trattativa, facilitata anche dal fatto che Capello fosse un ex calciatore della Roma, venne chiusa definitivamente con l’annuncio dell’ingaggio il 2 giugno 1999. Qualcuno all’epoca, proprio come per Mourinho oggi, sostenne che il tecnico friulano fosse ormai “bollito” dopo il flop rossonero del 1997-98 (decimo in campionato), ma il tempo diede ragione a Sensi: valeva la pena sacrificare Zeman, pur amatissimo dai tifosi, per tornare i numeri uno in Italia. Capello, dopo una prima stagione di assestamento non senza difficoltà, pilotò la Roma verso il suo terzo scudetto, nel 2001, grazie alla sua pragmatica capacità di motivare al massimo i calciatori, anche durante le partite (memorabili le sue sfuriate negli intervalli di alcune gare iniziate male).
Qualcosa di simile era accaduto per Nils Liedholm, che la Roma strappò clamorosamente al Milan il 17 maggio 1979, undici giorni dopo la vittoria dello scudetto della stella in rossonero da parte del tecnico svedese. A Milano ci restarono piuttosto male, ma Liedholm, che già aveva allenato la squadra giallorossa dal 1973 al 1979, da tempo era in parola con Dino Viola. L’impegno dell’allora consigliere d’amministrazione romanista, sostanzialmente, era: «Appena divento presidente ti riporto alla Roma». Il 16 maggio Dino Viola subentrò a Gaetano Anzalone come numero uno giallorosso e il giorno successivo sentì al telefono Liedholm, per confermare la promessa che si erano fatti. E così l’allenatore campione d’Italia lasciò la sicurezza dello scudetto appena vinto per andare a guidare una squadra che si era salvata dalla retrocessione alla penultima giornata, grazie a un indimenticabile 2-2 casalingo con l’Atalanta. Mai scelta fu più azzeccata perché Liedholm, nel corso di pochi mesi, riportò la Roma a essere competitiva: nel 1980 e nel 1981 i giallorossi si aggiudicarono la Coppa Italia, interrompendo un digiuno di successi di 11 anni. Nel 1983 poi arrivò la conquista del secondo scudetto, dopo 41 anni di attesa.
Analogie con l’arrivo di Mourinho alla Roma si ritrovano anche nell’approdo nella Capitale di Helenio Herrera nel 1968: il “Mago”, come lo “Special One”, aveva vinto tutto con l’Inter (tre scudetti e due Coppe dei Campioni) e amava le dichiarazioni ad effetto davanti a taccuini e microfoni dei giornalisti: «Non posso pensare che una città come Roma, la Capitale d’Italia, non debba avere una squadra di calcio capace di vincere il campionato – le parole dell’allenatore franco-argentino al Messaggero, nel giorno della firma sul contratto, il 30 maggio 1968 – sono venuto per questo, sono abituato a puntare in alto, a lottare per il primo posto». L’avventura di Herrera in giallorosso durò cinque anni, non senza burrasche (fu esonerato nel 1971, poi ripreso dopo un paio di mesi, e definitivamente cacciato nel 1973), ma la sua gestione portò comunque nella bacheca romanista una Coppa Italia nel 1969 e il Torneo Anglo-Italiano nel 1972.
Riavvolgendo il nastro fino alla fondazione della storia giallorossa, ecco spuntare il precedente più antico da accostare a José Mourinho: anche il primo allenatore della Roma, infatti, era un nome di assoluto livello, probabilmente il più quotato in Italia in quel momento. Parliamo di William Garbutt, inglese a cui si deve l’eterno appellativo di “mister” per i tecnici nel nostro Paese. Considerato il primo allenatore di professione del calcio italiano, Garbutt aveva vinto tre campionati alla guida del Genoa, nel 1915, nel 1923 e nel 1924. Ai primi di agosto del 1927 il tecnico britannico lasciò il Grifone dopo 15 anni di indimenticabile connubio e la neonata Roma di Italo Foschi, ambiziosa sin dall’inizio, riuscì a ingaggiarlo a sorpresa a fine mese. Dopo la breve gestione tecnica di Pietro Piselli e Jozsef Ging, che avevano guidato i giallorossi nelle prime amichevoli nel luglio 1927, era così il mitico Garbutt a prendere le redini della Lupa. Troppo acerba per competere in campionato, la Roma del tecnico inglese riuscì comunque a portare a casa un successo, la Coppa Coni del 29 luglio 1928, primo trofeo della nostra lunga storia.