È una storia fatta di disciplina, rigore e abnegazione, quasi segnata da un destino ineluttabile, quella di Luigi Barbesino, allenatore della Roma per quattro stagioni ininterrotte, dal 1933 al 1937. Considerato il primo vero tecnico italiano nella storia dei giallorossi (a parte le brevissime esperienze di Pietro Piselli nel luglio 1927 e di Guido Baccani tra settembre e novembre 1929), Barbesino lascerà il calcio per la carriera militare, scomparendo nel nulla durante un volo nel mare di Sicilia, in un giorno di primavera del 1941.
Piemontese di Casale Monferrato, Barbesino è un duro: alla severità però abbina un’intelligenza tecnica e tattica che ne fanno un allenatore completo. Guida la Roma di Testaccio e ha il merito di lanciare Amedeo Amadei in prima squadra. È presente al provino del “Fornaretto” nell’estate 1935, quando il 14nne attaccante di Frascati viene tesserato nelle giovanili giallorosse. Lo lancia per la prima volta tra i titolari in un’amichevole a Cagliari, l’11 aprile 1937, e tre settimane dopo lo fa esordire in Serie A, a soli 15 anni e 9 mesi: i risultati gli daranno ragione.
Nato il 1° maggio 1894, Barbesino ha alle spalle un’eccellente carriera da calciatore: gioca da centromediano (all’epoca si diceva “centrosostegno”), alto di statura (1,84: tantissimo per i suoi tempi) e magro (74 kg), ma tutt’altro che fragile. Combattente nato, è una vera e propria diga al centro della retroguardia, senza disdegnare qualche sortita offensiva. Alterna il gioco tecnico a quello più rude e con la sua fisicità è implacabile sulle palle alte. Debutta in nazionale nel 1912, a 18 anni, e con il Casale, di cui è capitano, conquista uno storico titolo italiano nella stagione 1913-14. Quando vince il titolo Barbesino ha a malapena 20 anni, ma è già un leader, che funge anche da guida tecnica della squadra piemontese in un’epoca in cui gli allenatori, in Italia, sono una rarità.
Un ritratto del settimanale “Il Football” del 20 marzo 1915 ci tratteggia con chiarezza il carisma del giovane Barbesino, non ancora 21enne: «I suoi compagni di squadra lo amano profondamente, malgrado la sua apparente asprezza, la sua evidente severità – si legge – alla vigilia di ogni match egli compie serenamente funzioni di poliziotto, girando per tutti i caffè di Casale, per tutti i ritrovi, alla caccia dei suoi poulains (letteralmente “puledri”, nel senso di allievi atleti, n.d.r.), non acquietandosi se non quando li sa tutti a letto. Si narrò che quando la sua squadra gioca fuori da Casale è lui che dispone il menù e sorveglia personalmente i suoi uomini per impedir loro di disordinare. Si cominciò a seguire con attenzione il suo contegno sul campo, i rabbiosi energici incitamenti ai suoi uomini nei matches più difficili; ci si persuase in una parola che Barbesino è uno dei pochi giovani che sappiano emergere sui compagni, che sappia imporre la sua alla altrui volontà, che, malgrado tutto, sappia farsi amare e, nello stesso tempo, temere».
“Bigin” inizia a giocare nel Collegio Civico di Ivrea, dove studia, per poi passare al Casale sin dalla sua fondazione, datata 17 dicembre 1909: Barbesino ha 15 anni e trascina la squadra nerostellata al successo nel campionato di Terza Categoria (la Serie C dell’epoca) del 1909-10. Nella stagione successiva, in Seconda Categoria, i nerostellati si classificano al secondo posto conquistando la promozione nel massimo campionato dopo uno spareggio con la Libertas Milano.
Sono epiche le sue sfide con i “nemici” della Pro Vercelli. La rivalità è tale che, durante il servizio di leva, riceve un richiamo disciplinare perché non rivolge parola al commilitone Giuseppe Milano, capitano della Pro Vercelli. Inizialmente gioca anche da mezzala sinistra e in questo ruolo conquista la maglia della nazionale esordendo in azzurro alle Olimpiadi del 1912 in Svezia. In totale conta 5 presenze e una rete (il 17 maggio 1914 contro la Svizzera, in un match vinto 1-0 a Berna) con la maglia della nazionale.
Il 14 maggio 1913 è in campo in un’amichevole di prestigio che il Casale vince 2-1 contro gli inglesi del Reading, considerati all’epoca maestri del football. Per intenderci i nerostellati sono gli unici che riescono nell’impresa durante il tour italiano della squadra britannica, che batte il Genoa (4-2), il Milan (5-0), la Pro Vercelli (6-0) e la nazionale italiana (2-0).
Nella stagione dello scudetto del Casale Barbesino è protagonista di un episodio plateale, che ne mette in luce il carattere, durante un derby con la Pro Vercelli: il giovane capitano dei nerostellati dapprima si raccomanda con l’attaccante Eusebio Sarasso, suo compagno di squadra, di non eccedere in inutili dribbling e poi, dal momento che non viene ascoltato, lo prende a calci nel sedere in due momenti diversi del match.
Il capitano però non può pienamente godere di quel titolo vinto, ironia del destino, annichilendo la Lazio in finale (7-1 in casa e 2-0 a Roma). Lo scudetto del Casale sancisce anzi, a soli 20 anni, la fine della carriera ad alto livello per Barbesino: il centromediano nerostellato infatti non gioca la doppia finale con i biancocelesti per una squalifica di due mesi rimediata per una rissa scoppiata in occasione della sfida vinta 2-1 sul campo dell’Inter (21 giugno 1914) e salta una larga fetta della stagione successiva per un’altra squalifica, stavolta di tre mesi, inflittagli per un nebuloso tentativo di combine con il Vicenza.
Ferito nell’orgoglio e tradito da qualche dirigente casalese, Barbesino gioca altre 9 partite di campionato a cavallo della “Grande guerra” per poi appendere gli scarpini al chiodo.
Durante la Prima guerra mondiale parte militare come sergente nel Secondo genio zappatori e poi passa in aviazione, terminando il conflitto con il grado di capitano pilota nel Battaglione aviatori da bombardamento. Riesce anche a giocare qualche partita nel Legnano per poi tornare nel suo Casale al momento della ripresa dei campionati, nel 1919-20.
A 26 anni, nel 1920, decide di lasciare il calcio giocato e seguire altre priorità. Tra il 1921 e il 1923 è militante attivo nel partito fascista a Bolzano e si dedica per qualche tempo al giornalismo. Espulso dal P.N.F. nel marzo 1923, inizia ad allenare nel 1924-25 i dilettanti dell’U.S. Colombo di Bolzano. Nel 1928-29 guida per qualche mese il Casale e poi, dal 1929 al 1931, si mette in luce come tecnico del Legnano, che porta alla promozione in Serie A nel 1930.
Approda alla Roma di Testaccio nell’estate del 1933: ingaggiato dal presidente Renato Sacerdoti, Barbesino si rende protagonista di una vera e propria rivoluzione nel club giallorosso. Impone infatti alla squadra una preparazione fisica rigorosa, fatta di anelli, parallele e sedute in palestra, come mai era stato fatto in precedenza. I giocatori storcono il naso, ma si adeguano e i risultati si vedono ben presto anche in campo. L’allenatore piemontese, molto attento anche all’aspetto tattico, nel 1934 prova addirittura a chiudere gli allenamenti ai tifosi, spesso troppo invadenti e impietosi con i calciatori meno in forma, ma il provvedimento resiste per un paio di settimane e Testaccio riapre i battenti. Tra i suoi meriti, oltre a quello di lanciare Amadei ancora ragazzino, anche quello di spostare Enrique Guaita da ala a centravanti. Il “Corsaro Nero” diventa un bomber micidiale e nel 1934-35 firma 28 reti in 29 partite di campionato.
Nella Roma di Barbesino c’è gente come Bernardini, Ferraris IV, Masetti, Costantino e Stagnaro. Avrebbe potuto vincere lo scudetto se il 20 settembre 1935 i tre assi argentini Guaita, Stagnaro e Scopelli non fossero fuggiti, tre giorni prima dell’inizio del campionato, temendo di venir arruolati per la guerra in Etiopia. Nonostante l’improvvisa defezione la sua Roma, imperniata su Masetti, Allemandi, Monzeglio, Bernardini, Tomasi e Di Benedetti, lotta per lo scudetto fino all’ultima giornata, arrivando a un solo punto dal Bologna campione d’Italia. Barbesino è costretto più volte a schierare in attacco il terzino Andrea Gadaldi, ma riesce a fare di necessità virtù.
Lascia la panchina della Roma nell’estate del 1937, all’indomani di un campionato incolore chiuso al decimo posto e di una Coppa Italia persa in modo bruciante in finale, a Firenze contro il Genova (all’epoca si chiamava proprio così), con rete del 19enne Luigi Torti a undici minuti dal fischio finale. Sotto la gestione dell’ex mediano del Casale i giallorossi partecipano due volte alla Coppa Europa Centrale, non andando oltre i quarti di finale.
L’addio con la Roma è indolore se è vero che Barbesino affianca per qualche tempo il nuovo allenatore Guido Ara (suo antico avversario ai tempi delle sfide Casale-Pro Vercelli) per facilitargli l’inserimento in giallorosso. Nel 1938-39 scende in Serie B alla guida del Venezia che lascia a marzo per dedicarsi alla carriera militare, forse l’ideale per un amante della disciplina come lui.
L’epilogo di Barbesino è tanto drammatico quanto eroico durante la Seconda guerra mondiale: domenica 20 aprile 1941, mentre la sua scoperta Amadei apre le marcature per un 3-0 della Roma sull’Ambrosiana e mentre il Casale gioca tristemente in Serie C, perdendo 3-0 con la Gallaratese, Barbesino scompare in volo mentre è missione su un aereo Savoia Marchetti S.M.79 comandato dal capitano pilota Domenico Valsania e dal sergente pilota Antonio Sirignano.
L’ex campione decolla con il suo trimotore da Sciacca, in Sicilia, alla ricerca di navi nemiche, diretto a Kerkenna, in Tunisia. Poco più tardi però si inabissa nel mare vicino a Malta, forse colpito da un caccia Hurricane inglese o per un’avaria dovuta al maltempo. Un’ulteriore ipotesi, avallata dai discendenti di Barbesino, parla di un suo volo non autorizzato finito male alla ricerca di un equipaggio di commilitoni.
Il corpo dell’ex allenatore non verrà mai ritrovato: le ricerche di soccorso danno esito negativo anche per gli altri cinque membri dell’equipaggio impegnati con Barbesino. Il fatto che non sia dato subito per morto fa passare in sordina la notizia della sua scomparsa. Due anni più tardi però viene istituita, per ricordarlo, la Coppa Barbesino, disputata tra squadre militari imbottite di calciatori professionisti nelle città di Roma, Milano e Trieste. Dopo un mese di gare, tra il 6 giugno e il 4 luglio 1943, si impone la formazione degli Autieri. Barbesino resta nella storia del nostro calcio: indimenticabile per il Casale, fondamentale per la Roma di Testaccio.
Fonti principali: il Football del 20 marzo 1915.
“Tutti gli uomini che hanno fatto grande l’A.S. Roma” di Adriano Stabile (Ultra Sport).
“Un secolo nerostellato” di Giancarlo Ramezzana e Roberto Cassani (editore: A.S. Casale).
“Il Romanista” (numeri vari).
“Il Littoriale” (numeri vari).