Romano doc, romanista e capitano giallorosso. Giancarlo De Sisti è un’icona della Roma, di cui è stato pregevole centrocampista e bandiera, pur avendo speso gli anni migliori della sua carriera lontano nella Capitale.
Nato il 13 marzo 1943 in via Lucio Manilio 1, al Quadraro, De Sisti cresce nella parrocchia di Santa Maria del Buon Consiglio, poi passa alla Forlivesi (squadra intitolata a un giovane talento giallorosso morto 18enne), quindi all’Omi Roma e infine nelle giovanili della Roma, con cui vince due titoli italiani juniores nel 1960 e 1961, agli ordini del mister ungherese Geza Boldizsar. All’inizio gioca con il numero 9, da centravanti arretrato, poi a 18 anni si trasforma in centrocampista. Sin da ragazzino tifa per i giallorossi, è il più piccolo di tutti, ma con il pallone tra i piedi ci sa fare davvero bene.
Fa il suo esordio assoluto in Coppa delle Fiere l’8 febbraio 1961, lanciato all’Olimpico da Alfredo Foni nella sfida tra Roma e Colonia, gara di ritorno dei quarti di finale, vinta per 2-0 dai tedeschi: «Non giocai bene – ricorda dalle pagine del libro “Roma Story” (Edizioni della Sera, 2014) – venni schierato ala al posto di Orlando e avevo di fronte Schnellinger, ma non fu una grande scelta di Foni, che pure aveva molta fiducia in me». Nonostante il ko passeranno il turno allo spareggio i giallorossi, che poi andranno a vincere la coppa.
Quattro giorni dopo ecco il debutto in campionato contro l’Udinese, in trasferta, con i friulani che si impongono 2-1. Lojacono non si presenta in ritiro a causa di una delle sue leggendarie fughe notturne così Losi e Guarnacci parlano con il tecnico Foni per convincerlo a schierare quel giovane che tanto bene sta facendo in allenamento. Il mister accetta il consiglio e Giancarlo De Sisti debutta in Serie A. «Dovevo avere la meglio su Valenti, che era molto veloce – le parole di De Sisti su “Roma Story” – allora dissi a Luigi Giuliano, mio compagno, mediano noto per i lanci lunghi e precisi: “Faccio finta di scattare e poi rientro così tu mi dai la palla sui piedi e, a quel punto, per Valenti sarà difficile togliermela”. Invece Giuliano, quando facevo la finta di andare, me la dava lunga e la palla finiva sempre a Valenti». Arrivano anche i gol, il primo in assoluto è in Coppa Italia, al Bologna, l’8 marzo 1961: «Finì 3-0. Feci un tiro dalla destra che ingannò il portiere. Poi il primo gol in campionato fu alla Fiorentina (era l’11 marzo 1962, n.d.r.). Fu una bella sensazione perché i viola erano una grande squadra». Ormai De Sisti è un giocatore vero: «Non sapevo dove sarei arrivato, ma non avevo né timore né paura, neanche quando ero un giovane calciatore. Mi riconoscevo nei complimenti che mi facevano: apprezzavano il mio ordine, la costanza, la semplicità e la continuità che erano effettivamente le mie qualità».
Accanto a Losi alza la Coppa Italia 1964
Basso di statura (è 1,69), viene soprannominato “Picchio” per il suo modo particolare di correre a scatti. In quelle iniziali stagioni in giallorosso cerca di rubare i segreti del mestiere dai compagni più bravi ed esperti. Rimane affascinato dal gallese John Charles, che pure non è più quello dei tempi della Juventus, e osserva con attenzione i colpi di classe di Juan Alberto Schiaffino: «“Pepe” era un mostro – ricorda “Picchio” – un signore davvero, si fermava dopo gli allenamenti con i più giovani e con me in particolare. Mi diceva: “Non guardare il pallone, ma guarda negli occhi l’avversario e come si muove, nove volte su dieci gli prendi la palla”. Lui puntò tutto sulla mia intuizione tattica».
Il giorno della definitiva consacrazione è probabilmente il 7 aprile 1963 quando, con una doppietta, contribuisce al roboante 5-0 sul Torino della sua Roma. Picchio De Sisti è diventato un regista intelligente, che distribuisce palle con il goniometro e detta i tempi di gioco con acume tattico. E’ utilissimo anche in fase di interdizione, qualità che ne fa un centrocampista completo e moderno. Ha carattere e all’occorrenza sa essere un guerriero: l’11 dicembre 1963 un suo gol, oltre alle parate di Cudicini, decide il difficile ritorno degli ottavi di finale di Coppa delle Fiere contro i portoghesi del Belenenses. All’andata la Roma aveva vinto in casa 2-1 e la partita di Lisbona si trasforma in una battaglia. Sei giocatori giallorossi, a fine gara, hanno contusioni di ogni genere: sono Ardizzon, Malatrasi, Losi, Leonardi, Schutz e lo stesso De Sisti.
Undici mesi più tardi la sua Roma vince la Coppa Italia e “Picchio” è nella cabina di regia della squadra che batte in finale il Torino, fuori casa, 1-0. E’ il 1° novembre 1964 e capitan Losi solleva il trofeo, ma vuole che anche il suo giovane compagno, di cui apprezza le qualità, abbia il giusto tributo e gli fa alzare la Coppa Dall’Ara, messa in palio dal Bologna per ricordare il suo presidente, scomparso da qualche mese.
La Fiorentina, Messico ’70 e il ritorno
Nell’estate del 1965 la cessione alla Fiorentina, imprevista. Giancarlo De Sisti rimane di stucco: «Facevo il militare a Orvieto, chiamai a casa e mia madre mi disse che la società era venuta a ritirare la mia divisa. Non ci volevo credere, non me ne volevo andare. Per me c’era soltanto la Roma». Si ricrederà perché in viola diventa una colonna del calcio italiano: vince lo scudetto nel 1969 ed entra stabilmente in nazionale, aggiudicandosi gli Europei del ’68 e arrivando secondo ai Mondiali di Messico ’70, lui titolare, con Mazzola e Rivera a fare la staffetta. «Italia-Germania 4-3 del 1970 è un pezzo di storia del calcio – ricorda nelle pagine di “Roma Story” – la nazionale è il meglio che c’è. All’epoca, a centrocampo, mi giocavo il posto con gente come Frustalupi, Cordova, Juliano, Bulgarelli, Rivera e Mazzola. Devo dire grazie a Valcareggi, peccato per la concorrenza che avevo, altrimenti avrei potuto giocare più di 29 partite».
Picchio De Sisti torna a casa nel 1974: già da due anni non è più in azzurro, ma ha ancora classe da vendere. «Litigai con Radice (allenatore della Fiorentina, n.d.a.) e gli dissi che me ne volevo andare. Mazzola mi offrì 50 milioni e una villa per andare all’Inter, ma io volevo soltanto la Roma. Mi rivolle Liedholm, con la gente il feeling non s’era mai rotto». Il suo acquisto da parte dei giallorossi, guidati dal presidente Anzalone, suscita comunque qualche polemica per il costo del cartellino: 400 milioni più Cappellini, tanto per un giocatore di 31 anni.
In poche settimane però Picchio fa tornare il buon umore a tutti. Il 1° dicembre 1974 mette la firma sul derby vinto 1-0 contro i cugini campioni d’Italia. Al 35’ De Sisti castiga la Lazio con un bolide: «Morini ha fatto il vuoto intorno a sé – racconta subito dopo la partita – poi, quando Wilson gli ha chiuso la strada, mi ha calibrato un passaggio al punto giusto. Ho pensato solo a tirare, scartando d’istinto qualsiasi altra soluzione. Lo specchio della porta era libero. Non ho fatto in tempo ad osservare la posizione di Pulici. Liedholm, pochi minuti prima della partita, aveva preso in disparte me e Cordova e ci aveva detto di tirare. Io avevo ribattuto: “mister, non ce la faccio, chi me la dà tanta forza?” E lui: “Provaci, potrebbe andare bene”». I tifosi della Curva Sud, in segno di gratitudine, gli regalano un elmo da antico romano che Giancarlo De Sisti conserva ancora oggi gelosamente.
La Roma chiude quella stagione con un insperato terzo posto, risultato che non si verificava dal 1954-55, vent’anni prima. Mentre da ragazzino era stato protetto da gente come Losi, Guarnacci e Schiaffino, ora è lui a dover fare da chioccia ai tanti giovani promettenti della Roma. Bruno Conti ad esempio lo ricorda come un punto di riferimento, da Picchio De Sisti viene incoraggiato e rassicurato le prime volte che si allena con i “grandi”. Segna ancora in un derby (il 16 novembre 1975, ma Chinaglia pareggia e finisce 1-1) e punisce la “sua” Fiorentina (2-2, il 28 marzo 1976). Lascia il calcio giocato nell’estate 1979, a 36 anni, ed entra subito nello staff tecnico della Roma al fianco di Liedholm, mentre frequenta il supercorso di Corverciano. Nella stagione successiva cerca nuovi stimoli e, a metà campionato, subentra sulla panchina della Fiorentina al posto di Paolo Carosi. Nel 1982 sfiora lo scudetto, perso all’ultima giornata dopo un avvincente testa a testa con la Juventus.
Nell’agosto 1984 rischia di morire per un ascesso alla testa: operato d’urgenza ad Ancona, avrà salva la vita e torna sulla panchina della Fiorentina. Nel mondo del calcio, spesso ingiusto e pettegolo, si sparge la voce che De Sisti non sia più lo quello di prima e nel dicembre dell’84, complice qualche difficoltà della “Viola”, viene esonerato. Successivamente allena anche l’Udinese, guida la nazionale juniores, quella militare (con cui vince il Mondiale di categoria nel 1991) e torna un’ultima volta su una panchina di Serie A nell’Ascoli. Nell’estate del 1987 è al Ciocco per guidare la prima edizione del ritiro estivo riservato ai calciatori senza contratto, in attesa di un ingaggio. “Picchio” in persona ha raccontato di aver anche sfiorato la panchina della Roma, durante la presidenza di Dino Viola.
Poi, complice anche l’ostracismo di qualche dirigente potente, viene definitivamente emarginato dai giri importanti. Compie il peccato di andare a lavorare alla Lazio di Cragnotti, come responsabile del settore giovanile, tra il 2001 e il 2004. Il connubio finisce malissimo: emarginato dal club biancoceleste da gennaio del 2003, nonostante il contratto in essere, Picchio fa causa alla Lazio ottenendo un risarcimento in tribunale, riconosciuto definitivamente dalla Cassazione nel gennaio 2019.
L’8 maggio 2006, appena scoppiato lo scandalo di Calciopoli, l’ex campione della Roma racconta anni di emarginazione, chiamando in causa Luciano Moggi: «La mia storia è passata nel dimenticatoio, quando la gente mi riconosce mi chiede: ma perché non alleni più? Io ho il difetto di dire le cose e poi pago dazio… Quando ero ad Ascoli nel 1992 dissi di no a Moggi. Mi voleva proporre due giocatori che a me non servivano affatto. All’epoca Moggi che stava al Torino, collaborava con Costantino Rozzi, presidente dei marchigiani. Poi nel 1994 in una
intervista denunciai il sistema: cioè che Moggi era al centro di un certo meccanismo di amicizie, movimenti di giocatori e allenatori. Che c’era un sistema che non mi piaceva. Sta di fatto che da allora non ho più allenato. Solo una constatazione. Si sa com’è che accade: basta un passaparola».
Nel 2009 la Federcalcio si ricorda di lui e gli affida il ruolo di ambasciatore del Settore Giovanile e Scolastico: De Sisti ha così la possibilità di girare per le scuole insegnando i valori di quella sportività che ha sempre contraddistinto la sua carriera. Nel frattempo si diverte ad allenare la nazionale dei parlamentari. Celebre è anche la sua apparizione nel film “L’allenatore nel pallone” con Lino Banfi, diretto da Sergio Martino nel 1984.
«Ho solo un rimpianto – racconta Giancarlo De Sisti nel 2005 – aver passato gli anni più belli lontano da Roma». Nonostante questo Picchio è per sempre una bandiera giallorossa.