Classe e professionalità al servizio della causa iallorossa. Joaquín Peiró Lucas, spagnolo di Madrid, veste la maglia della Roma, per quattro anni, dal 1966 dopo i trionfi euromondiali con l’Inter. Nei nerazzurri è penalizzato dal regolamento che limita l’impiego degli stranieri in campionato, così diventa l’uomo in più soprattutto in Coppa dei Campioni. Resta nella storia il suo gol al Liverpool, il 12 maggio 1965, quando l’Inter è chiamata a rimontare il 3-1 subìto ad Anfield Road. Un minuto dopo il vantaggio di Corso all’8’, Peiró ruba il pallone con un guizzo al portiere Lawrence mentre palleggia e così insacca, rimettendo in parità la contesa. Ci penserà poi Facchetti a siglare il 3-0 che qualifica i nerazzurri alla finale di Coppa dei Campioni, poi vinta contro il Benfica a San Siro.
Mezzala dalla buona tecnica e con ottime capacità realizzative, Peiró, quando arriva alla Roma, ha 30 anni e con la nazionale spagnola ha appena disputato i Mondiali in Inghilterra, venendo eliminato al primo turno. Per questo motivo è accolto con diffidenza dai tifosi giallorossi, memori della Roma “cimitero di elefanti”, che in passato aveva acquistato da grandi squadre campioni nella fase calante della carriera.
Nato il 29 gennaio 1936, a quattro mesi perde il padre, morto durante la Guerra Civile spagnola. Si fa notare 19enne nelle file del Real Murcia, in seconda divisione, segnando 15 reti in 22 gare nel 1954-55. In estate passa all’Atletico Madrid, con cui si rivela un attaccante prolifico (92 gol in 166 gare di campionato tra il ’55 e il ’62). In Italia lo porta il Torino, con cui fatica nella prima stagione, poi passa all’Inter di Helenio Herrera e quindi alla Roma.
Nel nostro Paese arretra un po’ il raggio d’azione, trasformandosi in un centrocampista dal cervello fino, un po’ lento, ma estroso, capace di giocate spettacolari e assist preziosi. In giallorosso gioca da regista, ma anche da mezzala. Dopo poche settimane fuga ogni dubbio tanto da risultare, alla fine della prima stagione romana, il miglior realizzatore della squadra, con 9 reti. Si fa trascinatore dei compagni soprattutto nella trasferta di Brescia del 29 gennaio 1967 quando la Roma è sotto di tre reti dopo appena 8 minuti di gioco. Paolo Barison avvia la rimonta giallorossa completata da una doppietta di Joaquin Peiró, eroe del match. Nella Capitale va a vivere in zona Monte Mario, non lontano dalle abitazioni di Giacomo Losi e Pier Luigi Pizzaballa, quest’ultimo arrivato in giallorosso nel 1966, come lui.
La stagione 1967-68 è quella della grande illusione: la Roma parte forte e, proprio grazie a un gol decisivo di Peiró alla Fiorentina (vittoria per 2-1 il 15 ottobre 1967, 4ª giornata), balza in testa alla classifica, rimandendovi soltanto fino alla 9ª giornata. Alla fine del torneo i giallorossi saranno addirittura decimi e così Oronzo Pugliese perde il posto, rimpiazzato nell’estate del 1968 da Helenio Herrera, che aveva già allenato Peiró all’Inter.
Il binomio funziona e Joaquin Peirò, che il celebre giornalista Alberto Marchesi ribattezza “Caballero”, dà ampi saggi della sua classe. «Mi chiamavano il “Bandolero” – precisa Peiró al “Romanista” nel 2004 – ero bravino. E poi che città Roma! Che clima, che bonaria ironia nei tifosi al bar. Che mangiate. Si ha un bel dire, ma la qualità della vita conta eccome». Qualche tifoso lo ribattezza anche “Don Gioacchino”, nomignolo che ha un sapore ben più romano degli altri. Altri lo chiamano “Espada Triste” perché nelle foto non sorride mai. Nel 1968-69, con Herrera in panchina, il “Bandolero” è un trascinatore, specialmente in Coppa Italia. Nel primo turno segna una doppietta al Bologna (3-0, il 22 settembre 1968) poi, nel girone finale, va in rete contro il Foggia (3-0 a Roma, il 4 giugno 1969), contro il Cagliari (doppietta che vale il 2-1 in trasferta, il 21 giugno) e soprattutto contro il Foggia nell’ultima partita, che assegna il titolo (3-1 il 29 giugno, completa le marcature una doppietta di Fabio Capello). Nel frattempo Peiró ha ereditato la fascia di capitano da Giacomo Losi, accantonato da Herrera, e così è lui a sollevare la seconda Coppa Italia della storia romanista. Il “Bandolero”, che chiude il torneo con 6 reti in 11 presenze, forte della sua esperienza fa da chioccia ai tanti giovani romanisti di belle speranze: giocatori come Capello, Spinosi e Santarini.
Nella quarta e ultima stagione in giallorosso riesce ancora a togliersi belle soddisfazioni: il 5 ottobre 1969 firma il raddoppio che mette ko la “sua” Inter capolista all’Olimpico (finisce 2-1 per la Roma) mentre il 16 ottobre firma una doppietta per un’esaltante vittoria giallorossa a San Siro, 3-2, sul Milan campione d’Europa. Lo spagnolo apre le marcature al 2’ di testa e firma il tris al 56’, giunto a tu per tu con Cudicini, grazie a un tocco beffardo d’esterno destro. La sera i tifosi accolgono trionfalmente la squadra a Fiumicino mentre il Corriere dello Sport titola a tutta pagina “Arriva la Roma, Milano brucia”.
In quella stessa stagione il nome di Joaquin Peiró è legato a un dramma sportivo per la Roma, punita dalla “dea bendata”. Nell’aprile 1970 c’è la semifinale infinita di Coppa delle Coppe con i polacchi del Gornik Zabrze. All’Olimpico finisce 1-1 e a Katowice 2-2, per cui è necessario uno spareggio, a Strasburgo. I gol in trasferta infatti non valgono ancora doppio, nonostante inizialmente si pensi il contrario, e non esistono ancora i rigori dopo i supplementari. Sul campo neutro francese il match si chiude ancora in parità, 1-1, per cui è necessario il sorteggio con la monetina. Peiró è il capitano giallorosso che si deve presentare, con l’omologo del Gornik, davanti all’arbitro francese Machin per l’atto conclusivo. «Con il Psv, in quella stessa Coppa delle Coppe, ci eravamo qualificati noi con la monetina, Peiró sceglieva sempre testa – ricorda nel 2004 Renato Cappellini, attaccante romanista in campo quella sera – alla fine eravamo lì a metà campo a dirgli: “Testa! Testa!”. E lui voleva dire “testa”. Per scaramanzia mi allontano e sento Herrera che fa: “Croce! Croce!”. La monetina vola in aria, cade per terra e vediamo il capitano polacco esultare: era uscito testa».
L’asso spagnolo matura in quelle settimane l’addio alla Roma. In un clima di smobilitazione generale per la delusione europea, è tra i pochi che si salva in quel finale di stagione. Saluta il 23 maggio 1970 segnando un ultimo gol nel Torneo Anglo-Italiano, nella sfida dell’Olimpico tra Roma e West Bromwich Albion finita 1-1. Cala il sipario. il “Bandolero” se ne va. Torna all’Atletico Madrid nel settembre 1970 con l’intenzione di giocare ancora, ma alla fine lascia definitivamente il calcio. Saluta tutti il 6 gennaio 1971, al Santiago Bernabeu, con una partita celebrativa tra una selezione castigliana (“Seleccionado Castellano”) e la Dinamo Zagabria, vinta 4-1 dagli spagnoli grazie anche a un ultimo gol di Peirò.
Negli anni ’70 inizia l’apprendistato da allenatore nello staff tecnico dell’Atletico Madrid prima di affermarsi. Successivamente guida l’Atletico Madrileño, in seconda divisione spagnola, dal 1980 al 1985, poi lavora con il Granada (1987-88), Figueres (1988-90), Atletico Madrid (Joaquin Peirò arriva così al massimo campionato spagnolo, subentrando nelle ultime dieci gare del torneo ’89-90), Murcia (1991-93), Badajoz (1997-98), Malaga (1998-2003, il suo periodo migliore, arriva fino ai quarti di finale di Coppa Uefa nel 2002-03) e Murcia (2003-04).
«Che allenatore ero? – ricorda al CorrieredelloSport.it nel luglio 2009 – Non posso dire io se fossi bravo o meno, qualche successo l’ho avuto, di sicuro cercavo di adattare le squadre ai giocatori che mi mettevano a disposizione. Ho assimilato qualcosa un po’ da tutti i tecnici che ho avuto da giocatore ed Helenio Herrera mi ha trasmesso tanto, di certo». Joaquin Peirò muore la mattina di mercoledì 18 marzo 2020, all’età di 84 anni.