La mia Roma impegnata a Mosca risveglia vecchi ricordi adolescenziali. C’è infatti un precedente che ci ha visto protagonisti sullo stesso campo dell’allora Stadio Lenin, oggi chiamato Grande Arena Sportiva o qualcosa del genere.
Era il 18 settembre del 1991 e per i sedicesimi di finale l’urna non fu benevola perché pescammo il Cska Mosca, un avversario ostico per quei tempi. Ancora dovevo riprendermi dalla sconfitta di qualche mese prima in finale con l’Inter e l’idea di uscire subito dalla Coppa delle Coppe mi angosciava. Inoltre c’era questa incognita ambientale: si giocava alle sei del pomeriggio e mi faceva strano vedere un clima già eccessivamente invernale per noi che invece ancora avevamo la salsedine nei capelli.
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La Roma si presentò in campo con questo undici: Cervone, De Marchi, Carboni, Piacentini, Aldair, Nela, Hassler, Di Mauro, Rizzitelli, Giannini, Bonacina. Dire che scendevamo in campo per fare le barricate era poco. In panchina c’era ancora Ottavio Bianchi.
L’avvio fu terribile ma andammo negli spogliatoi sullo zero a zero. Poi a inizio ripresa il Principe Giannini si inventò una specie di cross dalla tre quarti che mandò nel panico la difesa russa costringendo Fokin all’autogol con un incredibile tuffo di testa. Passarono poco più di cinque minuti e il Cska trovò il pareggio con un tap-in di Seergev dopo una respinta corta di Cervone.
Dentro di me pensavo che il pareggio sarebbe stato un buon risultato; ce la saremmo giocata due settimane dopo all’Olimpico. Invece al 28′ della ripresa la Roma trovò il gol della vittoria. Andò così, nella più classica azione anti-calcistica: rimessa in gioco di Cervone di 70 metri, i due centrali russi che si ostacolano a vicenda, Rizzitelli si infila in mezzo, scarta il portiere e appoggia di destro a porta vuota. È apoteosi.
Finì in questa maniera quel Cska Mosca-Roma 1991: con i giallorossi corsari in terra russa e un cammino in Europa che proseguirà fino alla disfatta nei quarti di finale a Monaco contro la squadra del Principato. Eliminati da un gol di testa di Rui Barros, quello che diventerà in seguito il giocatore più basso ad aver giocato in Serie A, appena 159 cm.