Il nostro 1927. La Roma ottiene l’affitto di Campo Testaccio

Campo Testaccio

Sabato 3 dicembre 1927. Alla vigilia della sfida di campionato in casa della Pro Patria, la Roma ottiene l’affitto dell’area di Testaccio su cui Italo Foschi vuole costruire uno stadio di proprietà del club giallorosso. La deliberazione comunale viene firmata in data odierna dal governatore capitolino Ludovico Spada Potenziani e concede in affitto per 20 anni alla A.S. Roma (a canone annuo di 6.000 lire) un terreno di circa due ettari, ad angolo tra le vie Nicola Zabaglia e Caio Cestio, che fa parte del magazzino dei selci. Poco dopo la Roma chiederà di acquistare l’area, ma le trattative si complicheranno. I lavori, pur in assenza di un contratto, vanno comunque avanti. Nel primo progetto (curato già da tempo dall’ingegner Amerigo De Bernardinis e dell’architetto Ghino Venturi) sono previste solo due tribune parallele, lunghe ciascuna 120 metri: quella principale, alta 8 metri, con 15 gradinate, l’altra con 30; la capienza totale dell’impianto è di 15.000 posti.

Pro Patria-Roma, si torna all’antico

Per quanto riguarda la partita di Busto Arsizio, mister Garbutt ha intenzione di affrontare la Pro Patria tornando all’antica: fuori Carpi, Narizzano e Canestrelli, che avevano debuttato contro il Casale, e nuovamente in campo Rovida (in ballottaggio con il debuttante Scocco che alla fine avrà la meglio), Fasanelli e Cappa: la scelta del tecnico inglese si rivelerà azzeccata. Al seguito della squadra, come di consueto, c’è il presidente Italo Foschi, accompagnato dal dirigente Renato Sacerdoti.

La questione arbitrale

Il quotidiano “L’Impero” pubblica un lungo articolo polemico (a firma “Ape”) nei confronti degli arbitri di calcio, che sembrano avere un conto in sospeso con le squadre romane: la direzione di gara di Roma-Casale, da parte dell’arbitro Turbiani di Ferrara, ha costituito la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Osiamo credere che non ci si accuserà di campanilismo, o di fobia nordista, se scendiamo in campo per difendere le nostre squadre, e lo sport del centro-sud, dalle insidie e dai pericolosi colpi mancini che troppo spesso gli vengono tirati – scrive il giornale capitolino del 3 dicembre 1927 – noi assistiamo da un anno a questa parte, da quando cioè siamo entrati in Divisione Nazionale, a cose che hanno dell’inaudito, e che non si potrebbero spiegare se non pensando agli odi che possiamo aver scatenati e che ci perseguono con una tenacia degna di miglior causa».

Torbide manovre contro le squadre del centro-sud

“L’Impero” accusa non ben definiti uomini del calcio settentrionale di «sistemi che umiliano e che dispongono alla nausea» e sottolinea come le squadre del centro-sud siano vittime di «manovre torbide e sleali». Il dito viene puntato soprattutto verso la C.I.T.A. (Commissione Italiana Tecnica Arbitrale) e verso arbitri, portagonisti di torti contro le romane, come «Sguerzo, Bellandi, Mattea, Medica, Garbieri, Mastellari, Gama, Dani e ultimamente lo spallino Turbiani».

Serve l’intervento del presidente federale

Arpinati Figc

Arpinati

«Sarebbe ormai ora – si legge ancora sul quotidiano capitolino – che il massimo ente arbitrale intervenisse nella questione per riportare un po’ di fiducia nelle masse degli sportivi centro-meridionali e, in special modo, dei romani, che altrimenti sarebbero inevitabilmente indotti a credere che la giustizia e l’equanimità siano termini puramente figurativi e utopistici». Un appello accorato viene lanciato al rappresentante romano nella C.I.T.A. affinché faccia qualcosa di concreto oppure si dimetta. Viene inoltre chiesto l’intervento del presidente federale Leandro Arpinati: «Moralizzare dunque, e a tutti costi, e soprattutto si faccia presto», chiosa “L’Impero”.

Nella foto all’inizio dell’articolo: una veduta aerea di Campo Testaccio, inaugurato nel novembre 1929.

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