Il presidente del terzo scudetto è un uomo romano e romanista, fortemente legato ai colori giallorossi sin da bambino. Francesco Sensi, per tutti Franco, ha la Roma nel sangue e nel destino: papà Silvio è stato calciatore della Fortitudo e della Pro Roma, oltre ad aver partecipato alla fondazione del sodalizio giallorosso, nel 1927, e alla costruzione dello stadio a Testaccio, inaugurato nel 1929. Franco Sensi nasce respirando quell’aria primordiale, il 29 luglio 1926 a Roma. Alcune fonti riportano come luogo di nascita Visso, in provincia di Macerata, cittadina da cui proviene papà Silvio. Il codice fiscale di Franco però, riportato da alcuni documenti ufficiali giallorossi, non può mentire: SNSFNC26L29H501S. Le quattro cifre H501 indicano proprio Roma come luogo di nascita.
Per un curioso segno del destino la Roma vince il suo primo trofeo in assoluto, la Coppa Coni, il 29 luglio 1928, proprio nel giorno in cui Franco Sensi compie 2 anni. A Testaccio il giovane Sensi si innamora dei colori giallorossi, vedendo le prime partite dei suoi beniamini. Cresce a due passi dal Vaticano nella villa comprata dal padre dai conti Pacelli, fratelli di papa Pio XII, sulla via Aurelia Antica. Laureato in scienze matematiche all’università di Messina, intraprende l’attività petrolifera nel 1945, occupandosi anche del settore immobiliare, finanziario e alimentare, costruendo uno stabilimento per prodotti surgelati a Visso, paese di cui ricopre la carica di sindaco per oltre dieci anni. Nel 1959 costituisce la Compagnia Italpetroli Spa, la holding di famiglia.
Franco Sensi entra nel consiglio d’amministrazione della Roma nel 1954 e nel 1961 ne diventa vicepresidente. A capo della società c’è, dal 1958, Anacleto Gianni, compagno di lavoro per un ventennio di Sensi anche nella Camera di Commercio. Insieme, nel 1962, fanno parte della prima delegazione italiana che entra nell’Unione Sovietica di Kruscev per stringervi rapporti commerciali. Nello stesso anno la Roma passa al conte Franco Marini Dettina e Sensi si fa da parte. «Cominciarono a prevalere strategie politiche – ricorda Sensi in un’intervista al Corriere della Sera del 22 ottobre 1994 – gli amici degli amici “andreottiani”, le manovre che anteponevano favori personali alla scelta d’una presidenza mirata. Certo, sarei arrivato dopo Marini Dettina, se qualcuno m’avesse tirato la volata (nel 1965, n.d.a.). Oppure parecchio più tardi, quando Flora Viola, pressata dalla Federcalcio, tentò invano d’evitare soluzioni democristiane (nel 1991, n.d.r.). Vivevo egualmente senza smaniare. Questione di stile. Abituato ad operare sul libero mercato, senza pubbliche dipendenze, ritenevo anzi d’aver chiuso l’esperienza calcistica da dirigente comprimario». Il futuro patron però continua a seguire la squadra da abbonato e ogni estate acquista 12 tessere della tribuna d’onore.
IN SELLA CON MEZZAROMA. L’agognato ritorno di Franco Sensi alla Roma avviene nel maggio 1993, quando con Pietro Mezzaroma rileva al società giallorossa sull’orlo del fallimento, dopo la gestione di Giuseppe Ciarrapico. Sensi e Mezzaroma lavorano affiancati per sei mesi, ma la convivenza non funziona e dall’8 novembre 1993 Sensi diventa unico proprietario e presidente dell’Associazione Sportiva Roma. Il chiodo fisso di Franco è uno solo: emulare, se non superare, Dino Viola, grande patron giallorosso per 12 anni e presidente del secondo scudetto, nel 1983. Inizialmente si affida a Luciano Moggi come direttore sportivo (ma il matrimonio dura meno di un anno) e a Carletto Mazzone in panchina. E’ schietto, a volte burbero e un po’ sboccato, sa fare bene il suo lavoro e dedica alla Roma tanti soldi e passione. A volte è un presidente crudele, altre volte un padre affettuoso. Il 6 marzo 1994, dopo che Peppe Giannini fallisce un rigore che costa la sconfitta nel derby con la Lazio, definisce troppo severamente il suo capitano «indegno di vestire la maglia della Roma». Nove anni più tardi si vanterà di aver ceduto all’Inter Gabriel Batistuta, protagonista del terzo scudetto, avendole dato «una fregatura». Amerà profondamente Francesco Totti definendolo «il figlio maschio che non ho». Ha infatti tre eredi femmine, Rosella, Cristina e Silvia, che entrano tutte nell’organico societario. Una grossa mano gliela dà anche la moglie Maria, donna decisa e protettiva.
PRENDE ZEMAN E POI CAPELLO. Nei primi anni risana i conti, acquista giocatori come Balbo, Fonseca, Moriero, Delvecchio, Di Biagio, ma i risultati sono altalenanti. Nel 1996 ingaggia l’argentino Carlos Bianchi come allenatore al posto di Mazzone, ma la scommessa fallisce. Bianchi viene cacciato nell’aprile del ’97 e la stagione è chiusa dal vecchio Nils Liedholm in coppia con Ezio Sella. In quelle settimane matura una scelta coraggiosa: ingaggiare Zdenek Zeman, reduce da quasi tre anni di bel gioco alla Lazio, ma deluso per un esonero che non si aspettava. Il boemo accetta la panchina della Roma e per due stagioni regala emozioni agli appassionati giallorossi. I tifosi si divertono, ma le vittorie non arrivano e nel 1999, quando Sensi ha la possibilità di ingaggiare Fabio Capello, non se lo fa sfuggire. Zeman viene così sacrificato a favore dell’allenatore friulano, pluriscudettato con il Milan. Sono gli anni in cui il presidente giallorosso inizia la sua battaglia contro i poteri forti, le squadre del nord e gli arbitri “sospetti”. Goffo però è il suo tentativo di ammaliarsi i direttori di gara regalando una quarantina di costosi Rolex a designatori e arbitri. Si grida allo scandalo, ma la vicenda si sgonfia senza conseguenze. C’è poi da fronteggiare la Lazio di Sergio Cragnotti che sale alla ribalta del calcio italiano conquistando lo scudetto nel 2000. Il prestigioso successo degli odiati cugini è il pungolo definitivo a fare un ulteriore sforzo economico. Il 24 maggio 2000 la Roma entra in Borsa e due settimane dopo viene presentato Gabriel Batistuta, formidabile bomber argentino pagato 70 miliardi di lire (36 milioni di euro).
La passione per il calcio è così trascinante che Sensi nel 1998 diventa anche maggiore azionista del Nizza, l’anno dopo del Foggia, mentre nel 2000 compra il Palermo insieme a Cecchi Gori, Cragnotti e Tanzi (gli stessi con cui dà vita a Stream, tv satellitare a pagamento).
UN SOGNO: LO SCUDETTO DEL 2001. Con Totti, Montella, Emerson, Samuel, Aldair, Candela, Tommasi, Cafu, Delvecchio, Nakata e Batistuta forma nel 2000 una squadra formidabile che, guidata da Capello, arriva alla conquista del terzo scudetto, appena un anno dopo la vittoria della Lazio. Un traguardo che ripaga il presidente dei tanti sforzi fatti e gli fa dimenticare quei cori, “Sensi bla, bla, bla”, che i tifosi insoddisfatti gli avevano urlato contro allo stadio nei momenti difficili. Finalmente il mito di Viola è eguagliato: «Sono frastornato – racconta il 17 giugno 2001, giorno dello scudetto – ancora non me ne rendo conto, ma avrò tempo per farlo. Il mio pensiero va allo scudetto precedente del 1983, al presidente Viola che ha faticato come me. Sono stati campionati diversi, perché una volta c’era soprattutto tecnica, ora c’è più potenza. I successi si costruiscono nel tempo. Presi una Roma indebitata, la pagai 120 miliardi (di lire, n.d.a.) e non ne valeva 25. Un grazie particolare lo devo rivolgere a Carletto Mazzone perché lui salvò la Roma dalla Serie B. A un certo punto abbiamo dovuto fare una scelta: con Zeman avremmo rischiato la catastrofe finanziaria dato che voleva cambiare tutta la squadra. Abbiamo sostituito lui ed è venuto un perfezionista come Capello che ha creato l’amalgama e che sa gestire qualsiasi situazione». Il 24 giugno è al Circo Massimo, con Antonello Venditti e tutti i giocatori, per ricevere l’abbraccio di centinaia di migliaia di tifosi romanisti accorsi per festeggiare lo scudetto. L’ambizione di Sensi, a questo punto, diventa rivincere il campionato, ma la Roma sfiora soltanto il bis, arrivando seconda nel 2002 e nel 2004.
BATTAGLIE E ARRABBIATURE. Nell’agosto 2001 Franco Sensi deve fronteggiare la protesta dei giocatori che, dopo la vittoria nella Supercoppa, lamentano, con un duro comunicato, la mancanza, da parte della dirigenza, di “un cenno di non solo formale riconoscimento per il successo raccolto”. Il messaggio, sottoscritto da tutta la squadra sia pur con la perplessità di Totti, Candela e Montella, viene consegnato da Balbo all’addetto stampa Dario Brugnoli che informa immediatamente il direttore generale giallorosso Fabrizio Lucchesi. Sensi si imbufalisce con Brugnoli prima e Lucchesi poi. Quest’ultimo, tramite il tecnico Fabio Capello, fa sapere alla squadra che il patron l’ha presa male. Il 24 agosto 2001, giorno successivo al comunicato, Totti, Montella, Tommasi e Candela si recano a Villa Pacelli, scusandosi soprattutto per il tono del comunicato e la vicenda si chiude là. Non tutti i giocatori però sono d’accordo con le scuse a Sensi. Batistuta, soprattutto, ci rimane male e, alcuni giorni dopo, fa capire che il presidente non ha mantenuto la parola.
Nonostante il prestigio acquisito grazie allo scudetto del 2001 Franco Sensi continua la sua battaglia contro il potere di Juventus, Milan e Inter, candidandosi alla presidenza della Lega Calcio con l’appoggio dei club meno blasonati. Il 9 luglio 2002 però Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, viene eletto numero uno della Lega e Antonio Matarrese, diventato nel frattempo candidato del gruppo Sensi, viene battuto. Decisivo il voltafaccia di Atalanta, Lecce, Cagliari e Triestina.
DUE COPPE ITALIA CON SPALLETTI. Finiti i tempi delle vacche grasse per la sua Roma iniziano i problemi economici, conseguenza delle tante spese fatte per vincere e di qualche debito procrastinato. Nell’estate 2005, dopo una stagione deludente, viene scelto come allenatore Luciano Spalletti, che supera la diffidenza iniziale dei tifosi con il bel calcio e la vittoria di due Coppe Italia, nel 2007 e nel 2008. Franco Sensi, alla soglia degli 80 anni, inizia a spegnersi, è visibilmente sofferente e, suo malgrado, è costretto a seguire sempre meno le vicende societarie. Gli subentra sua figlia Rosella, già da tempo amministratore delegato, che comunque lo rende sempre partecipe delle sue decisioni. Il vecchio presidente muore in una sera d’estate, alle 23.35 del 17 agosto 2008, al Policlinico Gemelli. Al suo funerale, nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, si presentano in 30 mila tra parenti, amici, colleghi, calciatori e soprattutto tifosi. «La nostra forza sarà l’unione e faremo in modo di farti sorridere ovunque tu sarai – è il messaggio della squadra letto da Vincenzo Montella durante la cerimonia funebre – nessuno di noi può dimenticare la passione con cui ci hai sempre seguito. Sei stato sempre con noi: a volte come presidente, a volte come un secondo padre. Hai fatto tanto per la Roma, per i romani e per i romanisti. Non ti lasceremo solo e non lasceremo sola la tua famiglia. Ciao presidente, sei sempre con noi».
Il Campidoglio apre l’aula Giulio Cesare per la camera ardente, un onore tributato soltanto ad Alberto Sordi e all’ex sindaco Luigi Petroselli. Il pensiero più sentito, al momento dell’addio, è del suo capitano, Francesco Totti: «Ogni giorno che ho trascorso con lui è indimenticabile, ma il ricordo che ho maggiormente impresso nella memoria in questo momento è quel giorno al Circo Massimo e la sua felicità. Ci lascia quindici anni di amore che rimarranno indelebili nella mia mente e nel mio cuore». E anche nella storia della Roma.