“La Roma non ha mai pianto”, le frasi più belle di Dino Viola

dino viola

Dino Viola è stato il Presidente della Roma più bella di tutti i tempi. Ricorre oggi il 24esimo anniversario della sua scomparsa. Personaggio fuori dal coro, mente raffinata, faceva impazzire gli addetti ai lavori con le sue mai banali interviste e le frasi che lasciavano il segno. Non a caso venne coniato il termine violese.

Nei suoi 11 anni e otto mesi di presidenza la Roma ha vinto uno scudetto (1982-1983) ottenendo inoltre tre secondi posti (1980-1981, 1983-1984 e 1985-1986), 5 Coppe Italia (1979-1980, 1980-1981, 1983-1984, 1985-1986 e 1990-1991), una finale di Coppa dei Campioni (1984), una di Coppa UEFA (1991), 2 scudetti primavera, 2 tornei di Viareggio.

Dino Viola frasi

Dino Viola nel suo studio

Frasi Dino Viola, ecco le più belle

“Ho sposato i colori sportivi giallorossi non appena ho messo piede nella città eterna. Mi sono innamorato di Testaccio e dei suoi eroi. Ecco: io ho sempre pensato di poter comprare verso il Duemila anche il cuore di quella Roma lontana. Però in tempi di professionismo e sindacalismo esasperati, non è facile…”.
(Intervista al Guerin Sportivo del 1981)

“La bandiera è la maglia della Roma, è il simbolo, è l’unica cosa da onorare perché rappresenta la città. Un giocatore non dev’essere divinizzato, di chiunque si tratti, quella che tiene il sudore è la maglia”.
(Frasi Dino Viola, intervista a Radio Dimensione Suono del 1984)

“La Roma non ha mai pianto e mai non piangerà: perché piange il debole, i forti non piangono mai”.
(Dichiarazioni rilasciate nei giorni successivi alla sconfitta con il Liverpool nel 1984)

“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”.
(Frase dall’intervista del post partita Roma-Bayern Monaco del 20 marzo 1985)

Per approfondire – Dino Viola, una vita per la Roma: la biografia

“Questo Natale per la prima volta in vita mia come comune mortale e come lavoratore non mi sono concesso un giorno di ferie perché avevo ancora il fango che mi è stato buttato addosso e che, nonostante l’abbondante acqua, non riuscivo a toglierlo”.
(Intervista a Teleroma 56 del 1986)

Lo sanno tutti che è la mia più grande sconfitta, ma io non ho avuto quell’idea, perché se l’avessi avuta veramente lo stadio sarebbe già stato fatto. Quindi mi rendo colpevole che lo stadio non sia stato ancora fatto”.
(Intervista a Goal di Notte del 1989)


 

Estratto di un’intervista a L’Unità del 13 marzo 1987

Spesso lei in passato è stato alleato di Boniperti. perché adesso gli è nemico per il terzo straniero?
«Io non sono mai stato alleato e non sono mai stato nemico di Boniperti, e mai ne sarò alleato e mai nemico»

Di lei si dice che come uomo è antipatico, ma che sia un grande presidente. È d’accordo?
«Io mi ritengo più simpatico che presidente»

Per quanto tempo ancora vuole restare padre-padrone della Roma?
«Padrone non lo sono mai stato e mai lo sarò. Il padre lo farò e continuerò a farlo finché ne rimarrò al timone. Però senza soffrire di simpatie e di antipatie, giudicando soltanto in base alla professionalità di chi mi sta intorno e di chi collabora con me»

Riesce ad andare a un teatro, a un cinema o a leggere un libro, oppure è schiavo del calcio?
«Non vado al cinema né a teatro, perché il dramma e la tragedia si vivono giornalmente nella vita quotidiana. Ho poco tempo anche per leggere perché, ripeto, il romanzo e la poesia li vivo personalmente ogni giorno. Ma non sono assolutamente schiavo del calcio. È vero, invece, che amo lo sport tutto e quindi anche il calcio. I ricordi del “Testaccio” mi cantano sempre in cuore…»

«La cosa più bella e la più brutta che mi sono capitate da quando sono presidente della Roma? La più bella è l’accostamento con la base popolare dei tifosi e degli sportivi e, in un certo senso, anche con la cittadinanza. La più brutta? Quelle cose che non voglio ricordare, perché troppo irreali ed orrende, tipo l’interpretazione del “caso Vautrot”. Perché ha coinvolto non soltanto la mia persona nel delirio delle accuse, ma l’intera mia famiglia. E questo non credo sia stato giusto né umano»

Si sente la coscienza critica del mondo del calcio italiano o ne è un suddito passivo?
«Assolutamente sì. E non sono nemmeno un suddito. Ho sempre detto la verità anche quando sono andato controcorrente»


 

«La squadra s’è costruita un po’ alla volta, ritoccando e innovando. Per esempio, quando arrivai mi accorsi che i giocatori avevano una mentalità perdente, senza grinta, senza la voglia di reagire. Allora scelsi Turone e Benetti, due capitani coraggiosi, i quali avrebbero cambiato le brutte abitudini. Guardando più lontano, allo scudetto, pescai Ancelotti speranza della Serie C, sottraendolo proprio alla Juve che ha gli occhi dappertutto»

Poi?

«Poi nel secondo campionato arrivarono Bonetti, Romano e Falcao, preferito a Zico su consiglio di Pelè. E nel terzo Chierico e Nela, più Marangon e Perrone in prestito. Infine abbiamo preso Maldera, Vierchowod in prestito, Prohaska, Nappi, Iorio, Valigi, completando, insieme con il ciclo che considero assolto, anche la serie degli investimenti. […] Per raggiungere i nostri scopi non ho mai avuto paura di diventare impopolare. Abbiamo ottenuto una credibilità che si è incrementata. Non abbiamo mai alzato polvere e ingannato i tifosi con false promesse. Prima i fatti, sempre, e poi le parole».

(da un’intervista a Il Messaggero di venerdì 20 maggio 1983)


 

“Io gelosa della Roma? Una volta soltanto, nel ’76 – racconta Flora al Corriere dello Sport – ci trovavamo a Chianciano e, pochi lo sanno, mio marito rischiò la vita. Fu ricoverato d’urgenza per un’ulcera perforata. Al risveglio dell’operazione mi disse: “Flora, mi sarebbe dispiaciuto morire. Non ho ancora fatto nulla per la Roma”. Io ci rimasi malissimo. Poi capii. Il calcio era la sua grande passione”.
(Aneddoto raccontato da Flora Viola riportato nel libro “Tutti gli uomini che hanno fatto grande la Roma”, edizioni Castelvecchi)

Così invece lo ricordò la curva sud in quel lontano Roma-Pisa del 1991:
“Roma dai sette colli tramanderà la storia di un uomo che, da solo, le ha dato tanta gloria. Ci hai lasciato un vuoto incolmabile, addio caro presidente”

 

 

Dicci la tua

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *